sabato 26 dicembre 2009
un vecchio biglietto d'auguri
Il giorno della vigilia sono rientrato a casa mia, a San Miniato Basso. Non lo facevo da diverso tempo. La prima sensazione è stato il freddo, prima ancora del vuoto, che forse si accrescevano a vicenda. Il silenzio, i vetri appannati...
Sono salito al mio studio, ho trovato, perché lo cercavo, e sapevo dov'era, un cd su cui avevo fatto l'ultimo back-up del mio vecchio computer.
Stasera, sfogliando i file, ho trovato anche alcuni dei miei vecchi biglietti d'auguri.
Ne ho scelto uno, il ventunesimo, dell'aprile 2000.
Il biglietto era un foglio di carta colorata, che piegavo in quattro, lasciando foto e titolo in copertina.
Ad un lato c'era una breve nota di presentazione del biglietto stesso, sull'altro le informazioni sul contenuto, la foto e lo scopo del biglietto. Sotto, su metà pagina, un racconto scritto di volta in volta, per l'occasione o raccolto da una delle mie pubblicazioni passate.
La nota introduttiva
"La presenza della piccola Agnese nella mia vita, mi sta portando ad una continua rivisitazione, quasi con lo scopo di trarne degli spunti pedagogici, di quei quaderni di pensieri memorie ed impressioni che erano le mie prime pubblicazioni.
In esse la riproduzione fotografica delle collezioni doveva passare attraverso la mediazione delle economiche tecniche di stampa che mi trovavo a dover utilizzare, e ciò dava modo e spazio alla raccolta delle parole che corredavano la pubblicazione di acquistare una forma sinceramente più interessante degli attuali diari che accompagnano le mie ultime collezioni fotografiche."
Il racconto
Conobbi Vincenzo, che allora si presentava alto e magro, ad una festa. Una di quelle feste che si facevano sulle colline a fine primavera. Si facevano chilometri, alla domenica mattina. Di buon ora mi incamminavo da solo, e strada facendo incontravo amici e conoscenti, e ci si aggruppava.
Si facevano strade che si sapevano battute da chi si conosceva, o da chi si voleva conoscere, di buon ora in quelle lunghe giornate di sole pieno, calda presenza nell’immobilità di quelle colline, si arrivava alle feste a grossi gruppi. Le musiche delle chitarre e delle fisarmoniche ci erano di guida. Lontane melodie che sembravano venire incontro ai nostri passi.
I musici e i cantori di stornelli stavano, in quel giorno di inizio giugno, seduti lungo la viottola a gradoni di terra e pietre che saliva alla chiesa. Il prete stava in piedi sull’esiguo gradino, piccolo sagrato di quella minuscola chiesa. Egli sorrideva ai vari festanti che man mano giungevano e si allargavano sullo stretto spiazzo circolare che si apriva davanti alla chiesetta e che era delimitato, al limite con lo scosceso, da una fitta fila di cipressi.
Quando poi si fece l’ora della funzione, al suono della piccola campana, alcune decine di fedeli, in gran parte donne, di strinsero dentro alla chiesa. Gli altri, tutti uomini, si misero in sommessa conversazione ad aspettare la fine della messa. Si parlava del campo, dei raccolti e della stalla. Così venivan fuori anche le idee degli uomini.
Un gruppetto, quello che si era sistemato all’estremità del prato, opposto alla chiesa, sembrava molto preso in una accaldata discussione. Al centro del gruppetto, che dava le spalle a tutti quanti per gettare lo sguardo verso le sagome delle case e detti di Castelnuovo, si muoveva con gesti colmi e misurati un uomo con una giacca chiara. Era lui il moderatore. L’osservai a lungo. Era capace di orchestrare i suoi compagni.
Con una domanda ne scaldava uno, mentre con una risposta ne calmava un’altro. Ed allo stesso tempo era capace di far ridere tutti quanti con un semplice gesto della mano. Mi avvicinai per ascoltarli, e poi, rispondendo ad una sua domanda cercai di entrare, partecipando un po’ ai loro argomenti. Ma poco dopo, con un semplice gesto, quell’uomo con la giacca chiara si congedò e si allontanò, in direzione della chiesa.
Mi voltai per guardare dove stava andando. Si fermò ad un angolo della chiesa ed appoggiò le sue mani sui mattoni del muro, e le muoveva a cercare quando le parti in ombra quando quelle al sole. Mi allontanai anch’io dal gruppo e avvicinai quell’uomo. —Fra poche settimane questi mattoni avranno tutti la stessa rovente temperatura della piena estate.—, gli volli far notare. —Già, ma adesso, su questo primo sole, hanno ciascuno una loro opinione. —, mi disse. — Sì, per colpa delle ombre che sono ancora lunghe.—, gli risposi.
Le mie parole lo colpirono, la faccia gli si illuminò ed aprì le braccia nella mia direzione dicendo: —Ecco finalmente uno che non ha bisogno di spiegazioni - e posando le sue braccia tese sulle mie spalle proseguì - di ombre sulla coscienza di questi uomini qua - mi disse indicandomi con un cenno del capo le persone che affollavano quel prato - sono ancora molte e lunghe. Ma tra di esse si stà facendo posto la luce delle idee nuove.—.
Sì, fu proprio quel giorno che conobbi quell’uomo, e con lui avrei diviso gran parte di quella che oggi rivedo come la migliore stagione di questa mia vita in cenere.
Le informazioni
Pubblicazione, contenente un brano di un racconto autografo pubblicato in “CENERE, quanto resta di una vita” dal titolo di come conobbi Vincenzo, ed una fotografia inedita che ritrae la mia piccola Agnese al risveglio (12III00), ideata e realizzata in proprio su carta copytinta fantasy banana delle Cartiere Miliani Fabriano in ottanta copie numerate e firmate, per gli amici dell’Autore quale biglietto d’auguri per la Pasqua del 2000.
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