alba a pierino

alba a pierino

domenica 31 marzo 2013

sabato 30 marzo 2013

aia del Polesine


E' questa, senz'altro, la più grande aia che io abbia visto fino ad oggi.


Qui, dove ho incontrato l'orizzonte più lontano che mai avessi visto, ecco che scopro un'altro primato.

Il Polesine è luogo dove la storia dei "contadini" ha scritto alcune tra le sue pagine più crudeli e miserevoli.
Terra lavorata in continua lotta con l'acqua. Il Polesine è terra tra due fiumi, il primo ed il terzo per portata in Italia, il Po e l'Adige.
Da sempre le acque di questi fiumi si sono "allargate" periodicamente.
Con la Repubblica di Venezia iniziarono le prime concrete bonifiche, ma rovinose alluvioni hanno continuato, almeno una per secolo, a modificare l'aspetto del territorio.


La forza, la laboriosità dei contadini del Polesine veniva spesso vinta dalle carestie che seguivano le alluvioni. Altre volte queste calamità compattavano ancora di più i polesani, in vere e proprie rivolte sociali.
Su questa, come in molte aie della zona, ebbe inizio e luogo "la Boje", il nome con cui viene ricordato il moto contadino del periodo 1882-1885.
"La boje, e de boto la va fora": sta bollendo, e sta per andar di fuori di botto.


La rivolta popolare scoppiò all'indomani dell'alluvione del settembre 1882.
Dopo le battaglie risorgimentali tra l'esercito franco-sardo e gli austriaci nel territorio mantovano e nel Veneto del 1848, 1859 e 1866, si susseguirono le alluvioni dell'Adige, del Po, del Mincio e dell'Oglio.
Alle soffocanti tasse degli austriaci si sostituirono le altrettanto esose imposte del Regno d'Italia.
Mentre la propaganda degli ideali risorgimentali promettevano un miglioramento delle condizioni sociali dei contadini, vi fu il mancato riconoscimento del diritto vagantivo sulle terre bonificate.
Inoltre, nell'immediato periodo post-unitario vi fu anche il crollo del prezzo dei cereali.

Queste miserabili condizioni di vita dei braccianti favorirono ancor di più la diffusione della pellagra, malattia che minava il fisico e la mente. La pellagra, stando alle cognizioni dell'epoca risorgimentale, la cui scienza del tempo cercava di comprendere la pellagra ed offrire una efficace terapia al dilagare dell'epidemia, colpiva soprattutto i soggetti che si alimentano in modo quasi esclusivo di certi cereali, in particolare mais. Ed era caratterizzata da disturbi gastro-intestinali, del sistema nervoso, sintomi psichiatrici (“frenosi pellagrosa”), segni sull'epitelio con pigmentazione e rugosità della pelle esposta al sole.


La rivolta contadina si acquietò negli anni successivi, per effetto della successiva, fortissima, emigrazione della popolazione verso i paesi sudamericani di Brasile ed Argentina. 63.000 contadini polesani, quasi il 50% della popolazione, emigrarono.
Sulle aie, e durante le lotte, si diffusero fortemente gli ideali comunisti e socialisti.
Eventi ed idee di cui di fu figlio, per vita ed idee, Giacomo Matteotti, politico socialista ed antifascista, nato a Fratta Polesine nel 1885, proprio negli anni de "la Boje".

mercoledì 27 marzo 2013

notte di nuvole e luna piena



Lungo la strada di casa, 
questa sera, 
incontro sagome di nuvole scure 
che si muovono vorticose 
nel cielo nero notte, 
che la splendida luna piena
schiarisce 
quando le passano davanti.


lunedì 25 marzo 2013

da oggi sono quarantasette


Il mio compleanno di quest'anno, il quarantasettimo, è caduto di lunedì.
Rimandando i festeggiamenti ufficiali al prossimo fine settimana, oggi ho voluto ricordarlo mettendo sul tavolo un fiore, raccolto nel bosco con le sue radici e la sua terra, e messo nel vaso.


Non ne conosco il nome, ma mi è sembrato molto bello.


domenica 24 marzo 2013

la sagra della schiacciata, a Ponte a Egola



Ricordo che da piccolo era più festa a Pasqua che a Natale.
Della quaresima, delle grandi pulizie di casa per il passaggio del prete per l'acqua santa, e del prosciutto che il mio zio smarrimetteva proprio per la merenda col prete e i chierichetti che si portava dietro.
Veniva sempre al giovedì, nel tardo pomeriggio.
Con l'approssimarsi della pasqua niente più uova a colazione, perché la mia mamma cominciava a mettere da parte tutte quelle che raccoglieva.
Mi ricordo dell'impasto di uova e farina che la mia mamma e le mie zie preparavano, e maneggiavano a lungo. Il profumo dell'anice in quelle interminabili veglie attorno alla madia della mia zia, a vedere come e se l'impasto lievitava.
Altro che la preparazione del pane. Quello lo preparavano in dieci minuti, farina, acqua tiepida e lievito.


Venivano usate tutte le pentole di casa, alta, basse, grandi e piccole. Anche le pentole vecchie, che ormai non si usavano più, venivano utilizzate per cuocere le schiacciate di pasqua.

Nel vecchio forno, che veniva riscaldato con le fascine fatte con la potatura della vigna, c'entravano tutte le pentole, quasi sessanta.
Ricordo di almeno due infornate ogni anno.
Finito di fare le schiacciate, le uova ricomparivano a colazione, ed io mi ricordo che ero capace di mangiarmi un'intera schiacciata inzuppandola nello zabaione che mi preparava la mia mamma.



Da ragazzetto credevo che la schiacciata di pasqua fatta in casa fosse una tradizione dei miei, una tradizione marchigiana. Invece ho poi scoperto che era la schiacciata di Pasqua è un dolce tipico della tradizione pasquale toscana.




Gli amici de La Ruga, il circolo culturale che a Ponte a Egola animano numerose iniziative, da sette anni organizzano la Sagra della Schiacciata di Pasqua.




Negli spazi dell'associazione, e nelle vie prossime alla sede, viene allestito un mercatino, si volgono spettacoli di piazza, ma soprattutto la gente del paese ha la possibilità di camminare ed incontrarsi.




La cucina dell'associazione mette a tavola i presenti con un menù a base dei piatti tipici della cucina toscana con la specialità del coniglio fritto.









 Questa è anche una delle pochissime occasione in cui i Rossi espongono al pubblico la loro Balilla del 1931.

sabato 23 marzo 2013

il ricordo di Stellato Spalletti


Questo pomeriggio, a Ponte a Egola, si è svolta una manifestazione celebrativa per la ricorrenza del 152° anniversario dell'Unità dell'Italia. L'evento, oltre a ricordare la data apoteosi della storia risorgimentale del nostro paese, è stata l'occasione per commemorare la figura di Stellato Spalletti, un giovane pontegolese morto nel secondo conflitto mondiale, ed insignito della Medaglia d'Oro al Valor Militare, attraverso una mostra dell’artista Gino Terreni a vent’anni dall’inaugurazione del monumento dedicato al granatiere ponteaegolese.





La manifestazione ha preso il via in piazza Stellato Spalletti, con la deposizione di una coroni di fiori al monumento ai caduti.
Da qui si è poi mosso il corteo con autorità civili, militari e religiose verso il monumento a Stellato Spalletti in via Primo Maggio, dove si è tenuta la cerimonia alla quale hanno partecipato il Sindaco di San Miniato Vittorio Gabbanini, il Prefetto di Pisa Francesco Tagliente, il Presidente della Provincia di Pisa Andrea Pieroni, il Presidente del Consiglio Comunale di Firenze Eugenio Giani, il Presidente del Consiglio Comunale di San Miniato Marzia Bellini, lo scultore prof. Gino Terreni, il Presidente dell’Associazione culturale “La Ruga” Simone Nieri e il curatore dell’evento Filippo Lotti.





Stellato Spalletti nacque a Ponte a Egola il 13 febbraio 1920. In giovane età entrò a lavorare in conceria come operaio fino allo scoppio del secondo conflitto mondiale quando venne chiamato alle armi. Nel 1939 il I° Battaglione del 3° Reggimento, in cui era inquadrato, fu inviato in Albania come parte del Corpo di Spedizione Oltre-Mare Tirana (OMT), al fine di annettere il territorio albanese al Regno d'Italia dopo un protettorato che di fatto esisteva da un decennio.

Quando il 28 ottobre 1940, alle 3 del mattino, scadde l'ultimatum italiano, nel cui si intimava al governo greco di consentire alle forze italiane di occupare, a garanzia della neutralità ellenica nei confronti dell'Italia e solo per la durata del conflitto con la Gran Bretagna, alcuni, non meglio specificati, punti strategici in territorio greco, al quale il governo greco si rifiutò, il Battaglione di Stellato Spalletti si trovava dislocato nella zona dell'Epiro. Ricevuto l'ordine il battaglione entrò in territorio ellenico, e si spinse, lungo il litorale, fino al fiume Kalamas, dove i soldati greci si erano trincerati.

Qui dal 2 all'8 novembre verrà combattuta la battaglia di Elaia–Kalamas, che si concluse con una decisiva vittoria difensiva dei greci. Così, dopo poche settimane, la spinta dell'invasione italiana si arresta, e a metà novembre del '40 i greci passavano già alla contro-offensiva, e le truppe italiane cominciarono a ripiegare verso nord, anche all'interno del territorio albanese.





Sarà proprio durante questa fase che il 3° Reggimento dei Granatieri si distinse per dedizione ed eroismo. 
Il 3 dicembre 1940 il battaglione di Stellato Spalletti si trovava impegnato al mantenimento della posizione di Sella Radati, un passo montano a quota 1040, nel teatro delle operazioni belliche di Argirocastro, a protezione del ripiegamento delle forze italiane in atto. 
Stellato Spalletti, porta arma tiratore di mitragliatrice, "durante un violento attacco avversario condotto in forza, nonostante il fuoco intenso che batteva la sua posizione, con assoluta calma effettuava contro il nemico un tiro estremamente micidiale. Colpito alla gola, sopportava stoicamente il dolore e pur essendo conscio della gravità della ferita riportata, rimaneva volontariamente al proprio posto di combattimento, rifiutando ogni cura, per continuare il fuoco. All’estremo delle forze per la perdita del sangue subita, si piegava infine sulla propria arma e su quella, dopo aver sparato, in un supremo sforzo, l’ultima raffica, eroicamente si abbatteva".


Eugenio Giani, nel suo intervento, ha saputo dare la giusta collocazione a questo "sacrificio" della vita di un giovane ragazzo di paese. Caduto per difendere la sua, e la vita dei suoi compagni, in un luogo così lontano da Ponte a Egola, da accrescerne ancor di più la domanda del senso di utilità di quel sacrificio.
Giani ha parlato del senso di appartenenza, della consapevolezza che si giunge a fare comunque cose giuste anche quando si è chiamati a compiere azioni che non si comprendono, e non si condividono.


venerdì 22 marzo 2013

un orizzonte così lontano



Questo pomeriggio ero nel Polesine, vicino al delta del Po.
Tra Adria e Codigoro mi sono fermato per guardarmi attorno.



Non ricordo di aver mai visto un orizzonte così lontano...