alba a pierino

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sabato 31 agosto 2013

vacanze a Barcellona - festa major di Granollers


Oggi sono siamo stati ospiti dell'amico Luis, con il quale abbiamo fatto un buonissimo Barbacoa.


Alla sera ci ha accompagnati a Granollers, dove si stava svolgendo l'annuale festa del paese.
La Festa Major di Granollers ha origine antiche, e si volgeva come gran parte delle comuni feste di paese, con musica e balli tradizionali in piazza e fuochi d'artificio in chiusura.


Nel 1983 la formula è cambiata, la festa aveva perso attrattiva, ed allora i giovani del paese hanno pensato a come adeguarla ai tempi.
Si sono formati due gruppi, che hanno preso il nome di Blanc (bianchi) e Blau (blu).





In piazza si suona ancora, e si balla il tradizionale ballo catalano, la Sardana, tipica proprio della zona di Barcellona, che rappresenta culturalmente l'unità e l'orgoglio catalani.


Ma da trent'anni i giovani della città, suddivisi nei due gruppi, a cui si appartiene per scelta di compagnia, senza distinzioni geografiche o di quartiere, si sfidano a vicenda, in giochi che ciascuno dei due gruppi propone.
Noi vediamo una gara in cui due lunghissime catene umane dovevano trasportare da un punto all'altro della città il maggior numero di mattoni nel tempo stabilito.



Anche i fuochi d'artificio si fanno ancora, assieme ad un crepitare di petardi per le strade. E proprio per questo motivo, i negozi, prima di chiudere, coprono di cartoni tutte le vetrine.




I due gruppi propongono anche un proprio programma di iniziative e di spettacoli, e una giuria popolare determina ogni anno un vincitore.



venerdì 30 agosto 2013

vacanze a Barcellona - a casa di Dalì


Beh, ecco cosa fa l'età.
Sì, in fondo credo che sia proprio una questione di occhi, quelli con cui guardiamo le cose.


Avevo visitato la casa museo di Salvador Dalì a Figueras, nel 1986, nella mia memorabile prima vacanza all'estero con gli amici. Da San Miniato alla Costa Brava in Renault 4 (bianca).


Dalì era ancora vivo, di lui si parlava ancora molto agli inizi degli anni '80. Ma già aveva iniziato la sua parabola finale. Nell'agosto del 1986 ricordo, ora come allora, che si trovava in ospedale, vittima dei guai del male di vivere in cui era caduto dopo la morte della moglie Gala.



Ricordo di un visita scioccante. Di un'emozione convulsa, tragica, se non sinistra. Avvolto e sopraffatto dalle sensazionali smaterializzazioni del surrealismo. Che disintegrava l'arte e la ricomponeva a suo uso e piacimento, ma anche di coloro che l'osservavano.
Ricordo una grande teatralità, schietta e roboante, magnifica ed ingannevole, che avvolgeva tutte le sale del museo. La platea come il palco, del vecchio teatro distrutto dalla guerra civile spagnola, e recuperato da Dalì per farne la propria casa, o la stanza in cui aveva realizzato la famosissima installazione che vuol rappresentare il volto di Mae West, attraversarle era come immergersi nella visionarietà dell'artista.
Fui assolutamente spiazzato dalla messa in pratica del famoso manifesto surrealista, "My Lucha", con i suoi atteggiamenti spregiudicati e anticonvenzionali: “Contro la semplicità, e la complessità; contro la uniformità e la diversificazione; contro il collettivo e l’individuale; contro la politica, la metafisica; contro la rivoluzione, la tradizione; contro la medicina, la magia; contro lo scetticismo, la fede....


Al bookshop acquistai la stampa che ritenni ricomprendesse tutto quello che avevo visto:
Bambino Geopoliticus, guardando la nascita di un uomo nuovo.



Oggi ho visto un altro museo. E' vero, sono trascorsi quasi trent'anni, il museo si è allargato, si è arricchito di opere e gioielli, della cripta con le spoglie dell'artista. Forse è diventato, più di allora, il museo che voleva Dalì, un blocco unico, un labirinto, un grande oggetto surrealista, un museo assolutamente teatrale, dove la gente che lo visiterà se ne andrà con la sensazione di aver fatto un sogno.


Ma di quel sogno, quella meraviglia fanatica e irritante che mi aveva ammaliato trent'anni fa, oggi non l'ho visto, se non ha tracce, coperto dal fragore luccicante di uno studiatissimo kitsch, una macchina perfetta dello stupore a orario limitato. Ad uso e consumo delle centinaia di telefonini intenti scattare immagini delle lumache in Cadillac o delle labbra di Mea West, dopo lunga e ondeggiante file per salire all'occhio di vetro in cima allo scalone, per postarle sui vari profili Facebook, per gli amici dispersi per il mondo.




Giriamo lenti tra le sale, scattiamo immagini anche io e Agnese, tante, tra opere e installazioni anche straordinarie, sempre spettacolari.





Giriamo fino a raggiungere il bookshop, dove campeggiano orologi molli, bocche scarlatte in plastica in ceramica in peluche.
Stavolta non trovo niente che raffigura quello che ho trovato dentro, e che voglio riportarmi a casa.
Quindi torno indietro, nelle sale, mi metto in posa davanti ad un'opera senza titolo, incompiuta, spiegata da una targhetta in quattro lingue, che riporta (dal castigliano): "un orologio morbido messo nel posto giusto per far morire e resuscitare un giovane Adone per eccesso di soddisfazione."


Parlando poi della visita, mi rendo conto che mia figlia, con i suoi occhi, non ha visto il museo che ho visto io.


Dopo la visita al Museo, mi sono fatto accompagnare dove avevo fatto danni trent'anni fa, circa.
Ci siamo fermati a Castello d'Emporda, per visitarne il centro storico, cosa che non ricordo di aver fatto allora.



Poi ad Empuria Brava, dove trascorsi quelle memorabili vacanze. Credo di aver riconosciuto il terrazzo dell'appartamento. Il campetto dove spesso, alla sera di ritorno dal mare, sfidavamo altre squadre di ogni parte d'europa (occidentale), quello c'è ancora.





A cena andiamo a Cadaques, mitico porticciolo sulle scogliere della Costa Brava, raggiungibile per una tortuosa e mirabile strada che scavalca montagne rocciose che profumano di mediterraneo.
Per mangiare tapas ad un Xiringhito sulla spiaggia.





giovedì 29 agosto 2013

vacanze a Barcellona - un'esperienza da raccontare


Iniziamo la giornata con l'obiettivo di andare a visitare Tarragona, importante sito archeologico di epoca romana, città capoluogo di provincia, a sud-ovest di Barcellona.

Le mie mappe-in-tasca dicono che ci arriverò percorrendo circa 90 km, in un tempo stimato di circa 50 minuti, percorrendo un'autovia, la C-32, e poi l'Autopista de la Mediterrània, l'A-7.
Mi sembra troppo veloce, troppo interna, così decido di prendere la Nazionale N-340, che corre in gran parte lungo la costa. La distanza da percorrere è più o meno la stessa, anche se il tempo stimato di arrivo raddoppia.

A Castelldefels c'è il Canale Olimpico, un laghetto artificiale stretto e lungo dove si svolsero le gare olimpiche di canottaggio, attorno al quale ci sono tante attività, ed anche una scuola di sci d'acqua con gli allievi trainati da una teleferica.
Qui abbandono la Nazionale per spingermi fin sulla spiaggia.


Poi la lunga spiaggia di sabbia termina con un porticciolo, e da lì inizia una scogliera rocciosa e la strada ne segue la sinuosità attraversando il parco nazionale della Costes del Garraf.




A Villanova i la Geltrù, la cittadina più grande che si trova sulla costa, tra Barcellona e Tarragona, ci fermiamo per pranzare in un ristorante del lungomare, gustando tapas di pesce.




Scopriamo che a Vilanova c'è il Museu de Ferrocarril, con una collezione di locomotive a vapore, elettriche e diesel e materiale ferroviario di vario tipo, ma riapre alle 17. A malincuore ripartiamo.


A Calafell scorgiamo un castello che si eleva sopra all'abitato storico. Lo raggiungiamo.






Il Castello è chiuso, ma noi avevamo visto uscire due ragazzetti, quindi curiosi, anche noi siamo entrati.


La vista sul panorama circostante ne valeva la pena.





La parte alta del Castello è chiusa per ristrutturazione. Su quello che doveva essere il cortile del castello si aprono, come avevamo già visto anche fuori, alla base del costone di roccia su cui è costruito, dei pozzi. Agnese ne ha saggiato la profondità gettando dentro dei sassi. Mi mostra quello che a lei sembra più profondo, un foro nella roccia di qualche decina di centimetri di diametro. Mi dice:
Questo deve essere il più profondo. Non ho sentito toccare il sasso.—.
Ne prende un'altro, un po' grossino, e lo getta dentro. Subito si sente il sasso che batte, forte, su delle tavole. Metto la testa sulla bocca del foro e vedo dei pannelli illustrati: è il museo del castello!
Usciamo di corsa, calandosi dalle mura in prossimità del cancello.

Furtivi passiamo davanti al portone d'ingresso del museo. Un cartello dice che aprirà alle 17, guardo il mio orologio, che segna le 16,55!

Scendiamo fino alla piazza del paese. Stanno allestendo una festa. Da questa sera, fino a domenica notte, ci sarà il Mercat Medieval.


Agnese vuol vedere il museo dei treni a vapore, e quindi riprendiamo la strada per Vilanova e i Geltrù.
A metà strada, a Cubelles, un cartello dice che "vendono femmine".



E' un allevamento ippico, dove fanno anche scuola per bambi che iniziano a montare a cavallo.



I cavalli sono quasi tutti di razza andalusa, ma hanno anche una nutrita colonia di pony.
Mi fermo a parlare un po' con il proprietario. Mi chiede dell'Italia, di come va l'economia, e naturalmente notizie sulle donne e le condanne di Berlusconi.
Mi chiede e mi racconta curioso, del fatto dallo scorso anno l'Italia stava comprando tantissimi cavalli per farne carne, ma proprio tanti, una cosa enorme, e poi da qualche mese non ne compra quasi più.


Così tra una cosa e l'altra arriviamo al museo alle 19, e chiude alle 20.






Ce lo gustiamo un po' di corsa, e alla fine il personale di servizio viene a cercarci tra i treni per chiudere.
Ci trovano dentro al Talgo, un treno di fabbricazione spagnola della fine degli anni '40, particolarissimo. Sembra una navicella spaziale dei film di fantascienza degli anni '60, con un'aria profondamente romantica.


Incuriositi dalla festa medioevale di Calafell, ormai abbandonata l'idea di arrivare fino a Tarragona, torniamo al castello.



Per le strade del paese stanno allestendo i banchi del mercato, che in realtà comincerà da domani.
Stasera la gente del paese, ciascuno con il proprio costume d'epoca del personaggio che nei giorni successivi interpreterà, cena in piazza, portandosi ognuno tovaglia e vivande.


Ci dicono che nelle prossime sere si svolgeranno delle rappresentazioni messe in scena dagli abitanti stessi. Tra questi, "Il Castello di Calafell", che racconta la leggenda della giovane Calaphel che alla fine dà il nome al castello e la città;
"il fisco", che spiega come Rusco Palou, signore del castello, e la sua guardia cercando di raccogliere le tasse, e la "Festa del Patto della Concordia", uno spettacolo con il re Ferdinando II e nobili della regione.