alba a pierino

alba a pierino

giovedì 31 luglio 2014

api e girasoli



Val d'egola, in località Palagio.


Campi coperti 
di girasole in fiore.


Di un giallo elettrico.


E api,
a centinaia.


Che volteggiano, 
da un fiore all'altro.

lunedì 28 luglio 2014

allo Sferisterio di Macerata per l'Aida



Lo Sferisterio di Macerata è una struttura teatrale unica nel suo genere architettonico. Secondo i più noti cantanti lirici è il teatro all'aperto con la migliore acustica in Italia. L'edificio è stato progettato nel 1823 dal poliedrico architetto neoclassico Ireneo Aleandri. Lo sferisterio deve il suo nome e la sua particolare pianta a segmento di cerchio alla destinazione d'uso originaria, come luogo per il pallone col bracciale. Costruito tra il 1820 e il 1829 per volere di cittadini maceratesi benestanti, i Cento consorti, come ricorda la scritta sulla facciata.



Dopo una prima serie di spettacoli teatrali sul finire del XIX secolo, nel Novecento si inizia a pensare seriamente che lo spazio della costruzione, quell’armonia interna tra il colonnato neoclassico, l’alto muro rettilineo e la grande area aperta centrale, possano essere perfetta cornice per gli spettacoli di opera lirica.


"L'Opera è donna" è il tema del Macerata Opera Festival 2014, 50a stagione lirica allo Sferisterio.
Celebrando tre grandi eroine del melodramma: Aida, Tosca e Traviata. A dirigere le orchestre delle tre rappresentazioni saranno tre donne, mentre la città è invasa da mostre, conferenze e concerti.


Francesco Micheli è il regista dell'Aida di questa sera, che si preannuncia una messa in scena tra futura e tradizione, con i graffiti didascalici di Francesca Ballarini, impreziosita dalla luci perfette di di Fabio Barettin, con l'orchestra diretta da Julia Jones.
Protagonisti Fiorenza Cedolins (Aida), Sergio Escobar (Radamès), Sonia Ganassi (Amneris).


l palcoscenico dello Sferisterio è occupato da una grande struttura, che si può interpretare in diversi modi. Pua copertina di un libro o il guscio di un laptop, perché i tempi passano e il segno del linguaggio contemporaneo si impone, ma la forza del classico incarnata dalla storia resta, con il suo messaggio universale.



Si apre la grande partitura letteraria e musicale dell’«Aida» ed escono lei, Aida appunto, e lui, Radamès. Il fuoco si concentra su di loro, non c’è niente che possa spegnerlo, e la sua luce illumina tutti gli altri personaggi che prendono parte all’azione.








Per me è la prima volta che assisto ad un'opera dal vivo, prima solo in tv.
L'emozione è forte per la suggestione del luogo, ma anche perché mi sento disorientato da questa messa in scena essenziale.


Io mi aspetto un’opera il cui respiro corale, la numerosità delle comparse, la ricchezza della messa in scena, sia fortemente suggestiva e coinvolgente. Ma di questa attesa coralità dal punto di vista drammaturgico non trovo quasi niente.


Messi a nudo da una scenografia di segni colori e luci, affascinante, elegante, di alta cifra artistica, mi trovo a seguire una serie di confronti personali, elevati a tal punto da diventare intimi.
Amato e amata, padre e figlia, sono queste le storie nella storia, che mi catturano più dell'idea che mi ero fatto dell'opera.
Storie che riesco a seguire con facilità, aiutato dai segni grafici che titolano, incorniciano, esaltano i passaggi dell'opera.
Ad entrambi i lati della messa in scena, proiettato sulla parete dello sferisterio, il testo del libretto, accompagnano me, e tutti i presenti, in una semplice comprensione delle parole cantate dai vari personaggi, rendono comprensibili i fantastici dialoghi, peraltro eseguiti da voci stupende, rese reali e sublimi dall'assenza dell'amplificazione elettrica, ma ingigantite dalla perfetta acustica di questo magnifico teatro all'aperto.









Sul finire del secondo atto, il momento più corale dell'opera, la marcia trionfale, dove la magnificenza dell'opera si esplica nella bellezza e nel movimento dei grafici che sembrano ritmare la danza di un eccentrico balletto che si sviluppa al centro del palco.




Assisto a questo passaggio dell'opera, da uno dei due punti di proiezione dei graffiti luminosi.




Tra il secondo ed il terzo atto, lo spettacolo si ferma per l'intervallo. Durante la pausa gli operatori di servizio cercano di asciugare il palco dall'umidità che condensa su di esso. La serata è piuttosto fresca, e molto umida per la pioggia che è caduta anche nel pomeriggio.







Mentre tra il primo ed il secondo atto non c'è stata pausa, tra il terzo e il quarto lo spettacolo si ferma di nuovo per asciugare il palco.
Per preparare il finale, dove la scena diviene ancora più scarna, la più essenziale di tutta l'opera.
Aida e Radames si ritrovano insieme, sepolti vivi, e il loro dialogo sembra chiudersi, come va chiudendosi "il libro della vita", alla ricerca dell’imperscrutabile disegno che regola la differenza tra la vita e la morte.



Alla fine mi chiedo se la mia prima volta in cinquant'anni di Sferisterio doveva essere proprio un'opera così innovativa e rivoluzionaria.
Di sicuro si è trattato di un'esperienza caratterizzata da forti emozioni.




sabato 26 luglio 2014

alla città della domenica, finalmente



Quando ripenso alla mia infanzia, mi vedo sempre in macchina lungo la strada da San Miniato alle Marche. 
Ogni anno, d'estate o per qualche matrimonio, i miei tornavano nelle Marche, ad Amandola dove è nata tutta la mia famiglia, o in qualche altro paese del Fermano dove abitavano i miei parenti.
Ogni anno scoprivo che il paesaggio cambiava un po', ma soprattutto cambiava il tracciato, con le strade che si ampliavano sempre più, e nascevano tangenziali e circonvallazioni.


Negli anni '70 si passava ancora dentro Perugia, e mi ricordo che sui tornanti di Ferro di Cavallo i miei di mi dicevano:
Guarda, per di là si va alla Città della Domenica—, io chiedevo di portarmici, me lo promettevano, ma non ci sono mai andato.
Mi veniva raccontato che c'erano dei giochi fantastici, e che c'era anche il forte dei Cowboy e l'accampamento degli indiani.
Quanto ci ho fantasticato sopra, sognato, giocato, e sperato.


Oggi, alla mia età (48 anni), finalmente ce l'ho fatta!


La Città della Domenica ha compito lo scorso anno 50 anni di storia, ed è stato di fatto il primo parco divertimenti d’Italia.


Ad idearlo e realizzarlo è stato Mario Spagnoli, illuminato imprenditore perugino figlio di Luisa Spagnoli, la donna che ha inventato i Baci Perugina e creato l’omonima casa di moda. Originariamente denominata “Monte Pulito” per via della mancanza di vegetazione, la collina è stata rigenerata e resa produttiva attraverso operazioni di dissodamento condotte con cariche esplosive. In principio vi fu impiantato un uliveto.
In seguito, sulla sommità della collina, in panoramica, fu realizzata una Country House con tiro a piattello, punto di ritrovo per le gite fuori porta del fine settimana.
Poco alla volta, il parco si popolò di attrazioni per bambini, come il Fort Apache, il Cavallo di Troia e le case delle fiabe.


Sul belvedere venne posto l’ingresso, con parcheggio e ristorante. Due pilastri di pietra, che sono lì ancora oggi, furono innalzati a segnare l’ideale entrata nel territorio del divertimento.


L'apertura ufficiale al pubblico avvenne il 21 aprile 1963, la domenica successiva alla pasqua di quell'anno.


Fin dalla sua nascita, il parco era rivolto soprattutto ai bambini e per questo fu realizzato un percorso ispirato al mondo delle favole con numerose attrazioni che è possibile ammirare ancora oggi, quasi identiche a quelle di allora. In tutto il parco sono poche le cose realizzate di recenti, ed anche le manutenzioni conservano un'aria molto vintage.


Con la gestione di Mariella Spagnoli, subentrata al padre Mario nel 1977, il Parco si è volto più decisamente verso la conservazione di specie animali e l’educazione naturalistico ambientale senza però perdere il suo alone di fantasia e mistero.




Con il trenino siamo giunti alla torre di Merlino, per visitare la Congrega delle Streghe e il castello della Bella Addormentata. Con il treno successivo, ne passa uno ogni mezz'ora, siamo arrivati fino al Villaggio di Pinocchio.





Attraversato il ponte matto, ecco il Forte e l'accampamento degli indiani. Qui, emozionato, sono entrato dentro una delle loro tende.





Sarà per l'orario da tardo pomeriggio, la brutta stagione di questi giorni con il cielo che minaccia pioggia, i pochi visitatori che incontriamo, ma ci sentiamo come girovagare tra le scene abbandonate di un vecchio film adolescenziale.