Nel novembre di due anni fa ho avuto l'occasione, e la fortuna, di dormire dentro i miei sogni da bambino.
O almeno una parte di essi, visto che sulla retro copertina di quell'atlante c'era una fotografia di Stonehenge. Ed anche su quell'immagine ho fatto tanti di quei sogni, i più esotici per quell'età.
Quando la scorsa fine di giugno ho prenotato l'aero e l'hotel per questa vacanza a Londra, avevo prenotato anche un viaggio organizzato da Londra per Stonehenge e Salisbury.
Ma dopo un paio di settimane l'agenzia, restituendomi l'acconto, mi informa che il viaggio è stato cancellato per le modifiche alla viabilità nel centro di Londra, dovute all'evento olimpico.
Così decisi di vedere s potevo trovare sul posto delle alternative, o, al limite, di noleggiare un'auto.
Oggi è l'ultimo giorno, intero, della nostra presenza a Londra.
Ieri avevo individuato, grazie al mio web-in-tasca, un noleggio auto della EuropCar vicino a Marble Arch.
Andiamo e noleggiamo una Polo.
Terminate le formalità, e fattici indicare la strada migliore per uscire da Londra, saliamo in auto.
Tutti sanno che in Gran Bretagna si guida a sinistra, e che quindi il volante si trova sul lato destro dell'auto, il nostro lato passeggero.
Do' un'occhiata generale al cruscotto e poi dico:
—Bene... Partiamo!—, e dicendo questo allungo la mano destra e mi metto a cercare il cambio, senza che mi renda conto subito che stavo frugando nella tasca dello sportello. Già, il cambio si usa con la mano sinistra.
In città il fatto di guidare contro mano però non si avverte particolarmente, per via dei sensi unici, ma anche, e soprattutto per la presenza di un certo traffico, nel quale, facilmente ci si incanala. Per precedenze e sensi di marcia, basta fare attenzione ai segnali, che sono, al solito, molti.
Quando entro il Fulham Road decido di trasgredire ai consigli del noleggiatore e la percorro tutta, fino al Tamigi. Perché lungo di essa so di trovarci Stamford Bridge, lo stadio del Chelsea.
Facilmente riesco a riprendere sulla via indicatami e a prendere la M3, l'autostrada, gratuita, che porta verso sud-ovest, in direzione di Southampton. Le mappe del mio web-in-tasca mi dicono che per arrivare a Stonehenge dovrò percorrere 87 miglia in un'ora e quaranta circa.
La strada si addentra nella campagna inglese con una serie di saliscendi.
Lasciamo la M3 con tre corsie per ogni senso di marcia, per la A303 che di corsie ne ha due.
Ci fermiamo a mangiare ad Amesbury, a pochi chilometri dalla nostra meta.
Siamo nella contea del Wiltshire, caratterizzata da ampie vallate coperte da campi di grano e colza, intervallati da alte siepi costituite da rigogliosi alberi, con la funzione di franger il vento che solitamente batte questi luoghi.
Faccio un giro nei campi vicini, e scopri che gli steli del grano sono ancora verdi, ci sono campi di colza raccolta da poco, ma c'è anche un grande campo su cui si ergono degli steli secchi con delle capsule sulla sommità. Sembrano giganteschi papaveri, ma non conosco questa pianta, e non so' neppur e come farmi aiutare dal mio web-in-tasca.
Scorgiamo le pietre megalitiche di Stonehenge già dalla A303, che lasciamo per percorrere le ultime centinaia di metri.
Superiamo il sito che vediamo scorrere alla nostra sinistra, superiamo il parcheggio con i chioschi e ci fermiamo poco più avanti, entrando un una stradina sulla sinistra, che costeggia il grande prato sul quale si erge Stonehenge.
C'è una recinzione con due fili di ferro spinato che non arriva al metro di altezza. Scavalchiamo è ci inoltriamo del prato.
Un vento forte, e freddo, ci arriva di lato e muove l'erba ad onde.
Fotografiamo e ci avviciniamo ai resti. Ad certo punto vediamo una ragazza venirci incontro. Siamo ancor a distanti diverse decine di metri, quando la ragazza ci raggiunge. Mi chiede se ho il permesso di stare lì. Naturalmente rispondo di no, e così lei ci accompagna a fare il biglietto.
L'ingresso costa poco più di 7 sterline.
Stonehenge è composto da un insieme circolare di grosse pietre erette, e sono allineate ai punti di solstizio ed equinozio. Alcuni sostengono che Stonehenge rappresenti un "antico osservatorio astronomico", anche se l'importanza del suo uso per tale scopo non è ancora chiara.
Si tratta di un complesso megalitico costituito da dolmen, elementari strutture architettoniche costituite da due o più sostegni verticali su cui poggia una grande lastra piatta, ed è stato realizzato in più fasi e la più antica risale al 2800 a.C.
Le pietre più grandi, in grès, una particolare arenaria silicea, dal peso di 25-50 tonnellate, sono state tagliate da una collina distante 30 km dal sito archeologico, e vennero probabilmente trasportate attraverso delle slitte che scivolavano su rulli in legno, tirate con corde di cuoio da decine di uomini.
Le pietre di dimensioni inferiori sono state invece tagliate in Galles, ad una distanza di oltre 200 km dal sito, e vennero trasportate, attraverso il fiume Avon, su imbarcazioni.
Le pietre che costituivano gli elementi verticali venivano prima trascinate in corrispondenza di un foro sul terreno, quindi venivano fatte scivolare all'interno del foro con l'ausilio di un sistema di leva appoggiate a un "castello" di tronchi. La pietra veniva poi sistemata in verticale tirandola con delle funi, e il foro veniva riempito con sassi.
Una volta che erano state alzate le pietre verticali, si aggiungeva l'architrave alzandola poco alla volta attraverso la costruzione di un fasciame di legname e l'uso di leve.
La costruzione di Stonehenge viene fatta risalire a circa 3.000 anni prima della nascita di Cristo.
Una delle pietre più famose di Stonehenge è senz'altro la pietra del Tallone.
Un racconto popolare, che non può essere datato a prima del XVII secolo, spiega così le origini del nome di questa pietra:
Il diavolo comprò le pietre da una donna in Irlanda, le avvolse e le portò sulla piana di Salisbury. Una delle pietre cadde nel fiume Avon, le altre vennero portate sulla piana. Il diavolo allora gridò, "Nessuno scoprirà mai come queste pietre sono arrivate fin qui". Un frate rispose, "Questo è ciò che credi!", allora il diavolo lanciò una delle pietre contro il frate e lo colpì su un tallone. La pietra si incastrò nel terreno, ed è ancora lì.
Il flusso dei turisti è costante, ed incessante.
Il sito archeologico è visitabile solo esternamente, protetto da una piccola cordicella che delimita uno stretto percorso, in parte costituito da uno stradello col fondo in cemento, ma soprattutto da un servizio di vigilanza molto discreto.
La nostra visita dura quasi due ore, durante le quali, nonostante il vento freddo e forte, tanto da battere e spianare a terra l'erba, osserviamo, affascinati, il monumento da ogni suo lato.
Ho l'abitudine, quando sto per lasciare un luogo, soprattutto se questo mi ha dato particolari emozioni, di voltarmi, un attimo prima di uscire dalla sua vista.
L'ho fatto anche oggi, ed ho avuto una strana sensazione. In quel momento ho notato una cosa che l'entusiasmo iniziale non mi aveva fatto vedere. Forse la luce cambiata, forse l'adrenalina smaltita da un po' stanchezza, ma l'attenzione si è subito fermata su un grosso megalite che era sostenuto da un basamento in cemento. Poi ho scorto delle stuccature su altri megaliti, e per un attimo ho avuto la sensazione di una quinta cinematografica in carta e polistirolo.
In quel momento ho sentito ancor più freddo, come quel freddo che a volte ci sveglia da un assopimento.
E come in quei casi la prima cosa che fai è cercare di renderti conto di dove sei, io mi sono messo a pensare che fino hanno fatto i pezzi che mancano. Come è possibile che i pezzi rimasti sono così in ordine, e quelli che mancano sono letteralmente scomparsi?
Mentre ci dirigiamo alla macchina, osservando la campagna e i tanti uccelli che si aggirano tra i chioschi in certa di molliche, cerco sul mio web-in-tasca notizie di Stonehenge, saltando wikipedia.
Trovo un "STONEHENGE...IL CROLLO DI UN MITO".
Me lo leggo. Scopro che quello che oggi abbiamo visto e fotografato è una sorta di riordino-ricostruzione, avvenuta all'inizio del '900, di sassi, monoliti e pietre che giacevano in ordine sparso su quella radura, e che sono state messe nella posizione attuale da ruspe e gru.
Il velo di questo "falso" l'ha sollevato un ragazzo di Bristol, Brian Edwards, che alle prese con una tesi di storia si è imbattuto nei meandri di una biblioteca londinese, nelle foto risalenti agli inizi del '900 che mostrano degli operai di epoca vittoriana intenti con cazzuola, gru, e funi, a "costruire" il monumento di Stonehenge.
Nel 1901 hanno ricostruito, spostato, innalzato, sistemato, riallineato quei monoliti che tutti presumono intatti, ne adorano la geometria, credendolo un computer preistorico, o un orologio neolitico.
Nel 1919, sei grandi pietre furono rimosse ed innalzate in posizione verticale, agli ordini del colonnello William Hawley, membro della nascente "Stonehenge Society".
Altri tre monoliti furono spostati da una gru nel 1959. In quell'anno a uno dei giganteschi "trilithos" venne messo un cappello di pietra, mentre nel 1964 ben quattro pilastri "neolitici" furono cambiati di posto.
La Stonehenge che ho visto oggi è un'opera del XX secolo.
Senza questi lavori, Stonehenge avrebbe "un aspetto molto diverso".
Pochissime pietre sono esattamente nello stesso posto dove furono erette 4000 anni fa.
Peccato.
Con questa consapevolezza decido, prima di fare ritorno a Londra, di addentrarmi nella campagna inglese.
Con l'obiettivo di raggiungere Salisbury, mi muovo a naso. Voglio vedere una mietitrebbia, o altre macchine agricole all'opera nei campi.
La prima cosa che scopro, sono gli allevamenti di maiali, particolarissimi.
Il vento cambia in continuazione il cielo, e con esso la luce che cade sulla campagna.
Troviamo un grandissimo prato dove dei giocatori di polo lo corrono in ogni direzione.
Entriamo per una stradina, attraversiamo le stalle di un allevamento e ci fermiamo lungo il campo di polo. Un signore sta allenando una squadra.
Avvicinandosi a Salisbury, il panorama non cambia. Magari le colline sono ancora più dolci ed il panorama si allarga un po' di più.
Quando arriviamo sul prato di fronte la famosa cattedrale sono le 19,00 locali, ed è chiusa.
Il prato fa impressione. L'erba è tagliata a pochissimi millimetri. E' una perfetta moquette verde. Si nota anche che è stata rullata da poco con un rullo dentellato, che ha pettinato il terreno come i campi da calcio, con strisce chiare e scure affiancate ed alternate.
Tornando verso Londra mi perdo un po'. Le strade si fanno sempre più strette, sempre più alte le siepi che le contornano, senza lasciare nessuna possibilità per fermarsi un attimo a vedere qualcosa. Il traffico sempre più ridotto, fino a divenire inesistente, tanto che le rotonde diventano sempre più inquietanti, da prendere contro mano.
Finalmente vedo una mietitrebbia. Sta raccogliendo la colza, oggi 2 di agosto, quando da noi sono quasi due mesi che è stata raccolta, ed anche il grano è stato battuto da un pezzo.
Il cielo è basso e brumo. Piove leggermente. Scendo dall'auto, salto una siepe di rovi con delle grosse e mature more.
Mi incammino nelle stoppie. Un grosso trattore col carrello è fermo nel campo. Che è ampio chissà quanti ettari, almeno dieci. Sale dal fondo della piccola valle, ed è di forma estremamente irregolare. La mietitrebbia viene su veloce. E' grande, con una bassa di almeno otto metri.
Mentre lavora scende una persona che stava con il guidatore. Ci salutiamo, sale sul trattore, e mentre la mietitrebbia gira e riprende a trebbiare la colse nella direzione opposta, lui si affianca e consente alla mietitrebbia di scaricare il prodotto raccolto.
Piove, è quasi buio e questi raccolgono la colza.
—This is rape, right?—
—Yes—, mi risponde.
—And the corn? We are in August.—
Mi guarda e sorride alzando gli occhi al cielo.
—Yes, but then comes September.—, gli faccio notare ridendo.
Rientriamo a Londra di notte. Arrivare al centro cittadino risulta semplicissimo.
Mi fermo a fare rifornimento. La verde costa 1,8 sterline, cioè oltre i 2 euro per litro.
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