Giorgio De Chirico, per la mia formazione che ho come radici le lezioni di educazione artistica, alle scuole medie, lo conoscevo come il geniale inventore della pittura Metafisica, da me studiata come una
delle più importanti correnti artistiche della modernità, e che eserciterà uno
straordinario ascendente sull’arte del Novecento.
Oggi sono a Ferrara, dove la città rende gli omaggio con una
grande mostra, ‘De Chirico a Ferrara: Metafisica e Avanguardie’, allestita a
Palazzo dei Diamanti.
Nella presentazione della mostra leggo: “Sono passati cento anni da quando de Chirico arrivò nella
città estense con suo fratello Alberto Savinio, nel 1915. Aveva
già alle sue spalle un centinaio di opere tra le più innovative e importanti
del secolo, realizzate a Milano, a Firenze e a Parigi, ma dato che era iniziata
la prima guerra mondiale, fu costretto a lasciare la capitale francese e per
tre anni e mezzo soggiornò nella città emiliana prestando servizio militare. Quella permanenza segnò un grande cambiamento nel suo
lavoro, tanto da essere ispirato dalla bellezza e dai miti rinascimentali della
città emiliana. Ricominciò a dipingere, circa una cinquantina di quadri, e
suo fratello iniziò la sua attività di scrittore e saggista, abbandonando per
sempre la musica”.
Approfondendo, sul mio web-in-tasca, poi confermato dall'ascolto di un filmato presente all'interno della mostra, Giorgio De Chirico ed il fratello Alberto, arruolati volontari nell'esercito italiano per combattere la Grande Guerra, giungono a Ferrara all'inizio del 1916, dopo diversi mesi trascorsi in trincea, per essere ricoverati a Villa del Seminario, trasformata in Ospedale Militare di riserva per malattie nervose, in periferia di Ferrara.
Già nel 1910, con un'opera realizzata durante un suo soggiorno a Firenze, l'enigma di un pomeriggio di autunno, De Chirico inizia a strutturare un suo nuovo modo di dipingere, creando un’immagine che, pur rispettando l’integrità della figura e la precisione
della forma, colloca quella figura e quella forma in un’atmosfera sospesa,
straniante, stupefatta, bloccata dal tempo.
Ma sarà proprio a Ferrara, anche per l'incontro con Carlo Carrà, anche lui ricoverato nel sanatorio di Villa del Seminario, e con il quale trascorrerà lungo tempo, dipingendo e discutendo di pittura, che comincerà a chiamare la sua pittura "Metafisica".
Qui si troverà ad affondare il suo sguardo nell’illogicità del mondo, sviluppando un suo linguaggio attraverso la composizione del microcosmo degli oggetti comuni intrecciandoli alle antiche magie delle civiltà mediterranee che hanno disegnato la città.
Il grande metafisico del 1917 e Le Muse
inquietanti del 1918, sono i suoi dipinti più famosi, nei quali il
Castello Estense o le grandi piazze deserte e senza tempo svolgono un ruolo di
magica trasfigurazione.
Affascinanti le sue piazze fuori dal tempo immerse
in tramonti fantastici o quelle stanze segrete dalle prospettive vertiginose
che fanno da sfondo agli oggetti enigmatici, “capaci di diventare il
palcoscenico su cui recitano manichini da sartoria e personaggi muti e senza
volto”.