alba a pierino

alba a pierino

giovedì 30 settembre 2010

in cerca di tartufi

E' da qualche giorno, una settimana circa, che si incontrano dei cercatori tartufi attorno a Pierino.
Oggi ne ho incontrati due, uno al mattino e l'altro al pomeriggio, peraltro nel medesimo posto. Mentre mi trovavo vicino alla mia baracca di legno.

Nel pomeriggio, a cercare tartufi, era la vecchia proprietaria di Pierino.
Dopo avermi venduto non c'era più stata. Abbiamo fatto un giro insieme, dietro ai i suoi cani.



Oggi avevo Nicola a pulirmi un pezzo di bosco, dove c'erano dei vecchi campetti, ricoperti di rovi.


Il bosco, in questi giorni, umidi, e sempre più corti, comincia a prendere gli odori ed i colori dell'autunno.
Il verde si fa più vivido, prima di che le foglie comincino a cambiare colore.



mercoledì 29 settembre 2010

milano25

Giornata lunga, tutta di corsa, ma sempre in orario, e questo a volte mi inquieta.
Firenze, Radicofani, Certaldo ed ancora Firenze.
Giornata lunga, tutta di corsa, ma sempre in orario, con un sorriso nel momento in cui non te lo aspetti.
Sono nel traffico in uscita dalla città, in prossimità di Porta al Prato.
Noto davanti a me, volarmi sul parabrezza delle bolle di sapone. Escono dal finestrino di una macchina.

E' una macchina piena di disegni colorati.
E' un taxi.
Lo guida una ragazza con un cappello da mago.
Prendo la mia macchina fotografica, e faccio scendere il finestrino dal lato opposto. Affianco il taxi e mentre l'autista continua a fare bolle di sapone, io scatto una foto.

Lei se ne accorge e mi sorride.
Io ricambio il sorriso e le dico: —E' bellissimo...—.
Lei mi risponde: —Ma lo sai che tutto questo è nato da un grande dolore?
Io continuo a sorriderle, ma non afferro subito...
Perché è grazie al dolore che si apprezza quanto può essere bella la vita.—, mi spiega.
E' vero...—, rispondo pensando che è proprio quando arriviamo in basso che riusciamo a spiccare il salto più in alto.

Il traffico ci allontana un attimo. Prendo il mio telefono e cerco milano25.

Scopro che si tratta di un grande progetto, e che la ragazza si chiama Caterina, e che siamo quasi coetanei.
Leggo un po' della sua storia, e leggo del dolore...
Leggo cos'è Milano25.
http://www.milano25onlus.org/sito/Home.html

Grazie per il sorriso... E spero di incontrarla di nuovo.


martedì 28 settembre 2010

a proposito di bosco e di guerra

La storia della Nobel di Carmignano mi ha fatto ricordare un'altra storia di guerra e di bosco.

Nella primavera del 1990, portando via la legna dal bosco di Regli, una valle di fianco al borgo di Cigoli, mi nacque l'idea di un lavoro ambientato in quel luogo. Mi portavo la macchina fotografica con me, e scattavo delle immagini. Al tempo stesso raccoglievo racconti, memorie, ma anche semplici scambi di idee.
Ne nacque una collezione fotografica ed un quaderno-pubblicazione dentro al quale raccolsi quattro racconti, su quattro diversi momenti "di quel bosco".
Uno di questi racconti, a cui detti il titolo Estate 1944, era il racconto, costruito sulle memorie di un uomo che visse quell'esperienza.
Quel lavoro riuscii a farlo con il contributo del Consiglio di Circoscrizione di Ponte a Egola, la ProLoco di San Miniato ed il Comune di San Miniato.
La presentazione, e l'esposizione, la feci nella biblioteca di Ponte a Egola, nel maggio del 1990. La collezione fotografica poi, nel giugno, la esposi anche nella Loggetta del Fondo a San Miniato.

Estate 1944
Correva quell’estate calda ed arida che sarebbe poi passata alla storia per molti fatti e tante particolarità. Non aveva quasi mai piovuto quell’inverno, e quando la stagione estiva arrivò trovò già una campagna arsa e stinta. Tutt’attorno, nei campi, il verde cedeva sempre più al giallo biondo, al polveroso della lunga assenza dell’acqua.
A quei tempi il mangiare era sempre stato poco e la fame tanta. Immaginarsi in quell’anno di guerra cruenta, di bombardamenti e di cannoneggiamenti. La presenza del fronte rendeva pericolosa la presenza ed il lavoro nei campi. Quell’estate non tutti riuscirono a mietere. Eppure quel ragazzino di vent’anni, ma forse neanche, con la faccia pallida e rotonda da slavo con aria zingaresca, continuava quasi sempre impertinente a ripetere: — Abbiamo fame. —.
Parlava anche a nome dei suoi compagni. Una mezza dozzina di russi del battaglione ucraino, mercenari arruolati nelle file dell’esercito tedesco, sbandati e fuggiaschi dopo aver disertato. Poveri cristi che si erano fatti soldati per pochi soldi, e che adesso, impauriti ed affamati, fuggivano dal loro esercito in ritirata e prossimo alla disfatta.
C’era un ordine dei nostri superiori, su precisa richiesta degli alleati, di aiutare e prestare protezione a tutti coloro che uscivano dalle file dell’esercito tedesco. Erano soprattutto i loro stranieri a fuggire. C’erano austriaci e russi, ma soprattutto polacchi e slavi. Dando loro protezione si voleva creare una possibilità a tutti coloro che volevano disertare, indebolendo così le forze tedesche.
Per noi comunque non era un problema da poco. Non si trattava del solo rischio che il nascondere loro disertori comportava per la nostra vita e per le nostre famiglie, ma vi erano anche dei considerevoli problemi di carattere organizzativo ed economico.
Su di noi infatti cadeva il peso della loro sicurezza e l’onere del loro sostentamento. Li nascondemmo in Regli, lì, nascosti nel bosco, c’erano già dei nostri ragazzi renitenti alla leva. Inoltre Regli offriva interessanti vantaggi strategici. L’Egola, a poche centinaia di metri, guadato in caso di pericolo o di vero e proprio attacco, poteva costituire subito un’ottima barriera sulla quale impegnare, con buone possibilità di respingerlo, il nemico. Inoltre, i contadini che abitavano Regli e attorno ad esso costituivano delle ottime e fidate sentinelle. Ma innanzitutto esso si trovava molto vicino al nostro quartier generale, Cigoli.
Cigoli era per noi un borgo fortificato. In quei giorni camion, moto ed ogni altro mezzo a motore lo potevano avere solo i tedeschi o i fascisti. E dall’alto del nostro colle si potevano vedere e udire tutti i movimenti che avvenivano nell’immediato circondario. Potevamo avvistare sia i mezzi che stavano salendo dal piano, da La catena e da Castelvecchio, come quelli che provenivano dalle colline, da San Miniato.
Le notizie, un po’ per la nostra organizzazione, ma anche molto per l’abitudine tutta toscana di fare pettegolezzi, correvano velocemente di bocca in bocca. In pochi minuti tutti venivano a sapere quello che si doveva sapere. Così i nostri potevano essere subito avvertiti e avevano tutto il tempo di agire di conseguenza.
Così, in quell’estate, tenevamo nascosti nel bosco di Regli, oltre ai nostri ragazzi e ai disertori russi, anche un altro paio di sbandati dell’esercito tedesco, che erano di origine austriaca. Stavano tutto il giorno nascosti nel folto e la notte dormivano nei capanni dei carbonai. Qualcuno saliva fino in cima al bosco, subito fuori del quale, ai margini di un’oliveta, c’era un capanno di contadini, di quelli in muratura.
Ma erano in pochi, i più, durante la notte, preferivano restare nella macchia, si sentivano più al sicuro. Noi cercavamo di trattarli meglio che potevamo. Mangiavano quello che mangiavamo noi, o meglio, quello che le nostre mamme preparavano con il poco che riuscivamo a procurarci.
Andavamo dai contadini e nelle fattorie a chiedere quanto era loro possibile darci. Si riusciva a rimediare qualche sacco di grano, che poi macinavamo per farne farina, e poi fagioli, un po’ di patate, qualche chilo di ceci e poco altro. Di carne era meglio non parlarne.
Ma nonostante tutto erano molto indisciplinati. Li avevamo anche armati in principio, ma presto persero la nostra fiducia. Non si sentivano sicuri, era questo il motivo di fondo, e quindi erano sempre irrequieti. Tentavano spesso delle fughe, molte volte isolate. Presto l’idea di dividere con loro le nostre armi già scarse e non molto buone, a molti non piacque più.
Noi cercavamo di rassicurarli, ma loro continuavano a scappare. Alcuni tornavano da soli, ma erano pochissimi. I più dovevamo andarli a riprenderli noi. Tenevamo con loro, a turno, anche un uomo della nostra formazione. Una notte ci scapparono tutti assieme. Passò qualche ora prima che ce ne potessimo rendere conto. Tutta la formazione fu allarmata e messa alla loro ricerca. Partimmo per le ricerche che il cielo cominciava a tingerli dei primi violacei colori dell’alba.
Ci dividemmo in tanti piccoli gruppi perché non sapevamo dove potevano essere andati. Quando riuscimmo a trovarli e a ricondurli a Regli, quelli che ormai noi consideravamo nostri prigionieri, era il mattino seguente.
I nostri rapporti con loro si deteriorarono molto presto. Era impossibile una loro utilizzazione, quanto una loro integrazione nella formazione, sia per la loro indisciplina che per i chiari motivi di lingua. Anche con il ragazzino russo non era semplice farsi intendere, spesso gli conveniva far finta di non capire. Comunque, a dire il vero, non c’è mai stato un particolare bisogno di loro.
I compiti della nostra formazione erano soprattutto di pattuglia, e loro ci avrebbero fatto comodo solo nel caso in cui avremmo dovuto eseguire un’azione piuttosto grossa ed impegnativa.
I disertori oltre alla sicurezza avevano un solo altro problema, la fame. Non ci misero molto ad imparare le vie che seguivano le loro vivande per arrivare. Impararono presto la strada per la casa del Gori, che era lì vicino, e dove veniva preparato quasi tutto il loro cibo. Cominciarono ad andarci. Si presentavano da soli, anche fuori gli orari del vettovagliamento, e pretendevano altro cibo.
Qualcuno di noi mal sopportava quella situazione. Dopo ogni marachella, se così si possono chiamare i loro continui tentativi di fuga, la continua negligenza nei confronti dei nostri ordini, le intrusioni nella casa del Gori e quanto altro facevano contro la nostra volontà, c’era quasi sempre una discussione molto accesa.
Ci s’arrabbiava molto, e qualcuno avrebbe anche voluto usare la violenza nei loro confronti. La situazione ogni volta sembrava precipitare, ma per fortuna non accadde mai niente di grave. Non siamo mai andati oltre le minacce
Una volta mi ci avvelenai anch’io, e li minacciai dicendogli:
Se continuate a non stare alle regole vedrete che da Stalin vi ci rispediamo in cassetta! —.
E il ragazzino, sempre con quell’aria quasi strafottente, in risposta ci chiese:
Cosa vuol dire “cassetta”? —.
Ma nessuno gli rispose, anzi seguitavamo a guardarli male, e lui continuava:
Cosa vuol dire “cassetta”? —.

lunedì 27 settembre 2010

cronaca di una passeggiata domenicale

Ultima domenica di settembre.


Il cielo è macchiato da qualche nuvola bianca. L'aria è calda, da pantaloni corti.
Si avvicina l'ora di pranzo, e mi viene in mente di scendere in paese a comprare il giornale.




Parto, mi incammino lungo la strada, con la macchina fotografica al collo.







Si sta avvicinando la stagione della caccia al cinghiale, ma è da tempo che non ne incontro lungo la strada.
Anche se ogni tanto si fanno vivi, scavando buche lungo la banchina della strada. Questa è recente, di questa notte.


Sulle foglie degli alberi ci sono ancora gocce d'acqua, un po' per la pioggia di ieri sera, un po' per la rugiada.





Ci sono due chilometri, da Pierino a La Serra.
Il giornalaio ha già chiuso. Proseguo fino al tendone "delle feste".
Oggi i ragazzi del circolo hanno organizzato la sagra del fungo porcino e del tartufo.




Nel prato ci sono un po' di bancarelle.

Vendono bigiotteria, articoli di decoupage e cose da magiare.

Ed anche funghi, olio e tartufi.




















Sempre nel prato, sono “radunate“ delle bellissime "Harley-Davidson"



































































La cucina della festa è in piena attività!










































































E' l'ora di pranzo. Ritorno a casa.

Lungo la strada mi accorgo che le nuvole si sono fatte più grandi, e numerose.




















Durante il pranzo, la luce cambia, si sente un tuono, ovattato ma distinto.

Fuori, un temporale stava rovesciandosi sulla valle.

domenica 26 settembre 2010

la festa di San Michele a Carmignano

A Carmignano da novant’anni, l’ultimo weekend di settembre si celebra la festa di San Michele.
Io l'ho scoperto ieri sera.
Ogni anno per tre giorni, Carmignano diventa il palcoscenico di uno straordinario spettacolo popolare, un vero e proprio teatro in strada. Un importante corteo, fatto di circa mille persone, attraversa le strade e le vie a piedi o sui carri trasformati in fantastiche scenografie con ogni sorta di marchingegno, luci, musiche e colori.
Vengono messe in scena quattro storie, una per ogni rione, sfidandosi in una gara che vede alla fine vincere lo spettacolo migliore.
Episodi veri o leggende, ogni anno diverse, che forse sarebbero perse se non venissero riportate in vita da questo straordinario spettacolo di memoria collettiva.

Il cielo, di tanto in tanto, veniva illuminato dai bagliori di un temporale che sembrava lontano.

Pensando, e sperando, di farne a meno, abbiamo lasciato l'ombrello in macchina.
Un bus navetta ci ha portati in paese, e appena arrivati ha iniziato a piovere.
Lungo la strada principale, attraverso la piazza, sfilava già il primo rione. Il rione verde.
Piove e ci ripariamo sotto ad balcone, ma non riusciamo a veder quasi niente.
Con la pioggia si liberano molti posti nelle tribune. La pioggia si più rada e sottile, e ne approfittiamo per prendere i posti lasciati vuoti, che però, più tardi, scopriremo che sono a pagamento.

Vediamo terminare la sfilata del rione verde, che mette in scena il novecento italiano.



Quindi è la volta del rione azzurro, che mette in scena, e le colloca nel tempo, i dipinti presenti nella chiesa di Carmignano.







Vediamo poi la sfilata del rione azzurro, che mette in scena la storia della Nobel Carmignano, un pallottolificio e dinamitificio.

Nel 1913, il dinamitificio Nobel fu costruito strategicamente nel bosco di Carmignano sulle rive del fiume Ombrone e a due passi dalla stazione ferroviaria. Fu luogo di lavoro per circa 3500 persone che si alternarono nella produzione di materiali esplodenti fino verso la fine della seconda guerra mondiale. L'11 giugno 1944 alla stazione ferroviaria di Carmignano, otto vagoni carichi di tritolo vennero fatti esplodere da quattro patrioti carmignanesi. L’eroico attentato, costato la vita dei giovani partigiani, mise però fine alla massiccia produzione di munizionamenti per il regime fascista, avviando così l’area Nobel verso il suo declino. Sul finire degli anni '40 si cercò di salvare il dinamitificio trasformandolo in stazione sperimentale di fitoallevamenti e antiparassitari e, negli anni seguenti, creando invano un laboratorio di ricerche sui funghicidi e gli insetticidi. Gli ultimi stabilimenti chiuderanno i battenti nel 1958, anno del definitivo abbandono.
Sei anni dopo lo stabilimento fu bonificato dai residui degli esplosivi e dei materiali usati per la loro fabbricazione e fu privatizzato.
http://qn.quotidiano.net/file_generali/pdf/paoli1.pdf



Sono passato anni e anni per la stazione di Carmignano, sul treno che mi portava a studiare a Firenze.
Non avevo mai notato niente.








Alle ore 1.10 della notte dell'11 giugno 1944 un'esplosione catastrofica distrusse la stazione di Carmignano. Il boato scoperchiò le case vicine, distrusse i vetri delle abitazioni di gran parte del territorio comunale e si fece sentire distintamente fino a Prato e a Firenze.
A saltare in aria erano stati otto vagoni ferroviari carichi di tritolo. Una delle più spettacolari azioni di sabotaggio dei partigiani toscani.
La fabbrica Nobel di Carmignano produceva esplosivi per i nazifascisti, la SAP (Squadra d'Azione Patriottica) dei fratelli Buricchi decise di attaccare i vagoni portando sul posto una carica artigianale che doveva innescare una reazione a catena.
Approfittando della distrazione dei tedeschi e dei fascisti che erano reduci da una festa in loro onore i sappisti innescarono i detonatori, ma qualcosa non funzionò come previsto. Forse non furono sufficientemente prudenti (alcuni erano alla loro prima azione) o forse l'attrezzatura era troppo rudimentale: parte del gruppo venne investito dall'esplosione e Bogardo Buricchi, il capo della spedizione, e Ariodante Naldi furono letteralmente disintegrati, mentre Alighiero Buricchi e Bruno Spinelli perirono per le ferite. Tutti gli altri, feriti più o meno gravemente, riuscirono a scappare e a rifugiarsi in luoghi sicuri.
A seguito dei devastanti effetti la fabbrica Nobel fu costretta alla chiusura e l'immenso cratere rese inagibile il tratto ferrioviario per molto tempo.
Scopro che ad aver scritto una delle ricostruzioni di quello che accadde quella notte, è stato anche l'amico Riccardo Cardellicchio.
http://viceversa.megablog.it/item/il-racconto-dell-esplosione-alla-stazione-di-carmignano-l11-giugno-1944

Proprio su di un angolo della piazza dove sfilano i figuranti, c'è un'insegna "11 giugno". E' del circolo ARCI di Carmignano.

La storia della Nobel viene raccontata attraverso le parole di un epistolario tra una dipendente e il suo innamorato.