alba a pierino

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venerdì 29 gennaio 2016

il Mistero Buffo raccontato da Mario Pirovano



Al Cinema Teatro Amiata di Abbadia San Salvatore, dopo che per tutto il giorno si era parlato della "Geotermia Possibile", la sera, dopo cena, si è esibito Mario Pirovano, raccontando alcune novelle di "Mistero Buffo" di Dario Fo.




Mario Pirovano si presenta così:
Mio padre faceva il calzolaio, mia madre era operaia. Ho trascorso la mia infanzia nell’antica cascina Serbelloni di Pregnana, alle porte di Milano. Da bambino giocavo tra i campi di grano e conducevo le mucche al pascolo o le portavo ad abbeverarsi, aiutando mio zio. 
Sono stato apprendista di bottega, commesso, macellaio, elettricista… dall’età di dodici anni non c’è mestiere che io non abbia sperimentato. 
Poi, a ventiquattro anni, sono emigrato in Inghilterra, e anche qui ho svolto i mestieri più disparati. (...) 


— (...) Vivevo a Londra da quasi dieci anni. Una sera sono andato al teatro ‘Riverside Studios’ per assistere a “Mistero Buffo”: fu una folgorazione. 
Sono tornato ogni sera a teatro per rivedere lo spettacolo e conoscere finalmente Dario Fo e Franca Rame. 
Da quel momento sono entrato a far parte della loro compagnia ricoprendo incarichi diversi: traduttore, responsabile della diffusione del materiale editoriale, aiuto elettricista, aiuto macchinista, direttore di scena, assistente alla regia, comparsa…


Sul modello di Fo, Pirovano porta avanti la tradizione degli antichi narratori e giullari di ogni paese che si servivano soltanto della voce e del gesto per conquistare l'attenzione del pubblico


Per anni Dario Fo ha condotto ricerche sulla cultura popolare indagando su testi in lingua volgare, in latino ed in lingue neolatine. Li ha tradotti, riscritti, riadattati fino a dar loro una chiave teatrale, sotto forma di giullarate.
I giullari recitavano nei mercati, nelle piazze, nei cortili e qualche volta addirittura dentro le chiese. E di giullarate è composto “Mistero Buffo”, lo spettacolo più famoso di Dario Fo, sulle radici del teatro popolare, quello dei giullari, della commedia dell’arte e dei misteri.
Il termine “mistero” è usato già nel II°, III° secolo dopo Cristo per indicare una rappresentazione sacra. Un mistero buffo è dunque uno spettacolo grottesco, una rappresentazione che nasce dal popolo, un mezzo di espressione popolare ma anche di provocazione e di agitazione delle idee.


Il “Mistero Buffo” di Dario Fo è stato riproposto dal ’69 ad oggi in oltre 5.000 allestimenti in Italia e all’estero e viene ormai considerato un ‘classico’ del Novecento.


La lingua in cui vengono recitate è un particolare insieme di dialetti delle regioni settentrionali e centrali dell’Italia, una lingua sempre perfettamente comprensibile grazie alla forza della gestualità che accompagna la narrazione. Si tratta di un monologo senza scenario, senza musica, senza costumi, che sollecita l’immaginazione e la partecipazione degli spettatori al punto da rendere quasi visibile, sulla scena, una molteplicità di personaggi, di oggetti e di luoghi.


Numerose sono le giullarate che compongono il”Mistero Buffo”, Pirovano ci ha raccontato quattro di queste giullarate.


“Il primo miracolo di Gesù Bambino” è il poetico racconto tratto dai Vangeli apocrifi che descrive come il piccolo Jesus, che fa volare gli uccellini di argilla fatti dai compagni, reagisce alla prepotenza di chi glieli distrugge.




“Bonifacio VIII” ci presenta il Pontefice prima nella magnificenza della sua vestizione, poi nel suo incontro-scontro con Gesù. E’ il classico anacronismo medioevale teso a sottolineare l’immensa differenza tra i due.




“La Resurrezione di Lazzaro” è la descrizione parodistica del miracolo più popolare del Nuovo Testamento, vissuto come grande happening del tempo. La drammaticità del momento si intreccia alla comicità delle diverse situazioni e dei diversi personaggi a cui la voce dell’ attore dà vita.




“La fame dello Zanni” racconta, utilizzando anche il grammelot, la storia di una fame atavica attraverso gli sproloqui e le contorsioni  di uno Zanni, nome con cui venivano indicati i contadini del Cinquecento nelle campagne del Veneto.






Lo spettacolo che ci gustiamo è uno straordinario impasto comicità e di drammaticità. 
Soprattutto per via dei continui richiami all’attualità, che infila tra i brani, così da svelarci le false ingenuità e le ipocrisie del nostro presente.


mercoledì 27 gennaio 2016

di Shlomo Venezia, le mani nella morte



Quando Shlomo Venezia, scomparve il primo ottobre del 2012, era l’unico sopravvissuto in Italia, tra una dozzina nel mondo, al Sonderkommando , la Squadra Speciale del campo di Auschwitz- Birkenau.




Della sua tragica esperienza, Shlomo Venezia ci ha lasciato una testimonianza preziosa, il suo libro Sonderkommando Auschwitz, edito da Rizzoli, dalla lettura del quale si è ispirata Firenza Guidi nella ideazione della performance interpretata da Leonardo Lami. Arrivando a toccare, come tocca la lettura del libro, le corde più profonde dell’anima e solleva domande senza risposta sulla crudeltà perpetrata.




Dopo un viaggio durato undici giorni attraverso Grecia, Jugoslavia e Austria, l’11 aprile del 1944 Shlomo Venezia arriva all’inferno, la Judenrampe di Auschwitz-Birkenau. 




Su duemilacinquecento ebrei arrivati con il convoglio di Shlomo, trecentoventi uomini, tra cui anche il fratello e i cugini di Shlomo; e trecentoventotto donne, compresa sua sorella maggiore, furono immatricolati e destinati ai vari settori del campo. Per tutti gli altri, comprese la madre e le due sorelline minori, la destinazione finale è stata, subito, la camera a gas.



Da qui inizia la seconda vita di Shlomo Venezia, assegnato al Sonderkommando, il Comando Speciale, il cui compito era lo smaltimento e la cremazione dei corpi dei deportati uccisi mediante il terribile gas Zyklon B. 
Fondamentalmente il lavoro consisteva nell’eliminare le prove di quello che realmente stava accadendo. 
Una vera immersione nel cuore dell’inferno, dove la malvagità imperava su tutto e su tutti e dove non esistevano più uomini, persone, bambini, ma numeri, pezzi e poi scarti.

La grande malvagità dell’istituzione di queste squadre rappresentò il più grave crimine perché le SS cercarono attraverso il Sonderkommando di scaricare, o meglio condividere, il crimine sulle vittime stesse.





Shlomo è un sopravvissuto, e come molti altri autori che hanno scritto le terribili, preziosissime pagine della Memoria non c'è una vera condanna, ma nuda constatazione, scarna cronaca, pura narrazione. 
I fatti vengono raccontati così come si sono svolti.





Nel cuore di chi è tornato resta la malattia dei sopravvissuti, quella sensazione che ti paralizza non appena si prova un po’ di gioia, quando tutto pare andare bene, e la disperazione assale di nuovo, più forte di sempre, e la sofferenza morde, più affamata che mai.