Risaliamo lungo una delle tre strade che tagliando da nord a sud collegano Amman con Aqaba ed il resto del paese.
Svoltiamo a destra, una spianata si apre, punteggiata da piccole fattorie che coltivano la sabbia grigia del deserto.
Strette pacciamature e brandelli di manichette. Rossi trattori e scuri carri attornati da donne in abiti neri, intenti a lavorare il terreno.
Attorno, dromedari al pascolo.
Poi il paesaggio si fa più desolato. Costeggiamo la ferrovia a scartamento ridotto che collega le miniere di fosfati di Maʿān, con il porto di Aqaba.
Si tratta di una diramazione della vecchia e famosa Ferrovia di Hejaz, costruita dagli Ottomani tra il 1900 e il 1908, allo scopo di facilitare il pellegrinaggio nei luoghi sacri musulmani in Arabia. Ma servì anche a consolidare il controllo ottomano sulle province più lontane del loro impero. La linea principale collegava Damasco a Medina, coprendo una distanza di 1.320 chilometri attraverso la Transgiordania, passando per Az-Zarqa', Al-Qatranah e Ma'an, e l'Arabia nord-occidentale in direzione della regione di Hejaz dove sono situate le città di Medina e la Mecca.
La ferrovia sostituii l'antica rotta carovaniera, precedentemente usata per trasportare merci da e per Damasco e l'Arabia, un viaggio di andata e ritorno che durava circa quattro mesi. I mercanti carovanieri, considerando questa nuova forma di trasporto una minaccia ai propri mezzi di sostentamento, tentarono più volte di interrompere la costruzione della ferrovia.
Furono impiegati migliaia di soldati ottomani per costruire, mantenere e proteggere la linea ferroviaria. L'intera operazione presentò enormi difficoltà, a causa dell'imprevedibile e spesso ostile opposizione delle tribù locali e del terreno accidentato, troppo morbido e sabbioso in alcune zone, solida roccia in altre. Oltre che con le mutevoli condizioni del terreno, dovettero fare i conti con la carenza di acqua e con il clima estremamente caldo e arido, caratterizzato da tempeste di sabbia e violente inondazioni che trascinavano via argini e ponti, causando il crollo delle linee.
Nei primi quattro anni dal suo completamento, avvenuto nel settembre del 1908, la ferrovia di Hejaz arrivò a trasportare circa 300.000 passeggeri l'anno, e non solo pellegrini. I turchi usarono la ferrovia per trasportare le truppe e gli approvvigionamenti durante la Prima guerra mondiale, che scoppiò pochi anni dopo la sua ultimazione. Molti furono i tentativi di distruggere la linea per impedire l'avanzamento dell'esercito turco.
Sarà qui, lungo la tratta tra Ma'an, in Giordania, e Medina in Arabia, che nascerà il mito del tenente colonnello Thomas Edward Lawrence, agente segreto, militare, archeologo e scrittore britannico, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Lawrence d'Arabia.
Già profondo conoscitore del Medio Oriente per i viaggi e gli studi condotti, durante la prima guerra mondiale, fu l’indiscusso protagonista sul fronte africano, dove il Regno Unito tentava di tenere testa e porre un freno alle forze dell'Impero Ottomano.
Il nostro viaggio prosegue, le rocce si fanno più scoscese, spesso ripide, e la sabbia cambia colore, vira al rosato, e per lunghi tratti il vento l'ha spinta a coprire la traversine della ferrovia.
La nostra destinazione è un luogo leggendario, il Wadi Rum, chiamato Valle della Luna dai Beduini.
Un complesso di massicci rocciosi, abitato da più di 2.500 anni, si trova lungo la via dell’incenso, un’antica strada commerciale percorsa da cammelli, che collegava il Mediterraneo con l’Estremo Oriente, attraverso la Penisola Araba.
“Vasto, echeggiante e simile ad una divinità”, così definito da Lawrance D'Arabia, che lo renderà famoso in tutto il mondo con le sue gesta. E’ qui che il colonnello inglese entrò in contatto con le tribù beduine che poi avrebbe convinto a ribellarsi ai Turchi, guidandoli alla conquista di Aqaba.
I Beduini vivevano attorno al Wadi Rum, perché da qui passavano le carovane con le merci da e per l'oriente. Ma passavano di qua anche i pellegrini diretti a La Mecca, e i Beduini, oltre che di commerci, avevano modo di vivere di pedaggi e razzie. E sarà proprio insegnando loro a bloccare e depredare il treno che gli aveva sottratto i pellegrini che Lawrance conquisterà la fiducia e l’appoggio dei Beduini.
Oggi i Beduini si sono riconvertiti ai servizi turistici. Se si vuole si può pensare che, in qualche modo, continuano a depredare i viaggiatori che si avventurano in queste piste di sabbia.
Ci fanno salire su vecchi Toyota e ci fanno sedere sul cassone, dove hanno sistemato delle panche sui lati, e coperto da un telo per vedere il deserto tutto attorno.
Sono vecchi mezzi arrangiati, che, chissà come, vanno ancora in moto. Anzi, uno lo mettono in moto a spinta, con i turisti sopra.
Poi sembra che sia il vento, come un soffio vitale, a far viaggiare questi pick-up, veloci nel deserto.
Ci addentriamo tra le gole sabbiose.
Facciamo la prima sosta alla base di una imponente roccia dove il vento ha spinto tanta sabbia da aver costituito un’enorme rampa da permettere di salire fino alla sommità del masso.
Proseguiamo, come una carovana che si sposta lentamente verso l’orizzonte, seguendo piste tracciate tra la sabbia, ora compatta ora mobile, con le jeep a distanza tra loro.
La seconda sosta è ad una tenda beduina.
Nella tenda i Beduini ci offrono il tè e ci vendono i loro prodotti.
All’interno dell’area del Wadi Rum si trovano alcune iscrizioni su roccia, dei graffiti, scolpiti, come cartelli stradali per i viaggiatori del tempo. Indicavano la pista. Ma non sono databili, e sembrano anche sovrapposti, nei tempi. Come aggiornati.
La nostra piccola carovana si rimette in moto. Ci guardiamo attorno, il vento attraversa il nostro riparo, e tende la coperta che ci da ombra. Intimorisce il senso di infinita distanza tra noi, in quel momento, ed il resto del mondo, sperduti, nella nostra piccolezza di fronte all’ostilità di questa natura, e questi massi di roccia così formidabili. Nei sogni, ma più ancora nell’immaginato mondo di scenari apocalittici, che i paesaggi hanno questi colori, queste forme e questa vastità.
Il Wadi Rum ci sta piacendo moltissimo.
La terza sosta, lungo la pista, la facciamo quando l'orizzonte si apre su di una spianata grigia di leggera polvere grigiastra, arido e pianeggiante letto di un lago prosciugato, che ancora, di tanto, raccoglie per qualche giorno un po' di acqua piovana.
Mi allontano, nell'incostante vento che mi soffia di fronte. Poche centinaia di passi e i rumori che pian piano si affievolivano, sono scomparsi.
Girato, con le spalle al vento e gli occhi alla comitiva, mi trovavo avvolto nel silenzio, ed osservavo la scena davanti a me, come se le fosse stato tolto il sonoro. Come una muta immagine fotografica.
Chiamo Antonia, compagna di comitiva, che ho scoperto cacciatrice di emozioni che raccoglie in poesia in un suo quadernetto, che ogni tanto le vedo tirar fuori,
La chiamo per farle provare quella sensazione. Mi raggiunge, le spiego, ma lei, al contrario di me, sente ancora i motori dei pick-up. Però si è incuriosita, e si mette a cercare il suo angolo di silenzio, si allontana, si sposta prima da un lato e poi per l'altro. Sente ancora dei rumori, dice. E allora punta verso l'orizzonte. Sta un po', cerca ancora, mentre io torno immerso nel mio silenzio. Poi la giuda ci chiama, il mio silenzio si interrompe e lei torna indietro. Non ha trovato il silenzio, continuava a sentire "i passi delle pulci", mi dice.
Credo che dipenda da cosa si cerchi. Credo che una cosa sia cercare il silenzio, un'altra il cercare l'assenza dei rumori.
Abbiamo fatto un’escursione di circa due ore, emozionante e sensazionale.
Sul momento non mi ero reso conto dello spazio che avevamo percorso.
Rimettendo insieme queste note, scopro che abbiamo percorso sì e no 6-7 chilometri.
Più che sufficienti, comunque, per rendere unica quest’esperienza.
L'escursione termina sotto le tende di un accampamento beduino.
E' un lodge con ristorante e tende con letto per passarvi la notte.
Siamo attesi e giungiamo in orario. Il fuoco è già pronto e la brace è sotto la griglia. Appena il tempo di pulirsi le mani che il buffet è aperto. Ci sistemiamo sulle panche e sui tavoli coperti di tappeti.
Pane arabo, salse, riso speziato e spiedini di pollo e di agnello.
Ci allontaniamo, lasciandoci alle spalle i binari che si perdono nel Wadi Rum.
giovedì 4 agosto 2011
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ottimo articolo vittorio kulxzycki Avventure nel mondo
RispondiEliminaArticolo interessante bravi vittorio Kulczycki Avventure nel Mondo
RispondiEliminaottimo articolo vittorio kulxzycki Avventure nel mondo
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