alba a pierino

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mercoledì 13 giugno 2012

la vangatura dell'orto


Il mio orto necessitava di un po' di cure.
Nel fine settimana ho tolto le piante di bietola che erano ricresciute dalle vecchie piante trapiantate lo scorso anno, che, "andate a seme", avevano seminato in via naturale il terreno quest'inverno, e, all'inizio della primavera, erano nate nuove piantine che poi mi hanno dato tanta di quella bietola che ha fatto felice anche qualche amico.


Dopo aver riportato a nudo il terreno con l'uso della falce, forse anche infatuato dalla lettura che sto facendo in questi giorni, della ristampa di un testo del 1861, "La Economia Rurale nella Provincia di Pisa", di Giuseppe Toscanelli, in cui descrive come, centocinquanta anni fa, venivano conditi i lavori agricoli in questa zona, ho preso una particolare decisione.
Mi sono venuti in mente i racconti di mio padre, e dei miei zii, in cui mi si narrava di interi campi rivoltati con la vanga.
Di interi vigneti trapiantati dopo uno scasso reale profondo ben 80 centimetri.
Cioè una serie di trincee larghe quanto il campo, e rivoltate le une sulle altre.
Una cosa immane, per fatica e tempo necessario.





Così, oggi, nel tardo pomeriggio, dopo aver legato i pomodori che stanno crescendo attorno alle proprie canne su cui sono appoggiate, togliendo loro i "talli", ricacci fruttiferi di scarsa qualità che nascono sulle inserzioni ascellari delle foglie, invece di mettere in moto la motozappa, ho preso la vanga e mi sono messo a dissodare lo spazio occupato dalla bietola.





Ho fatto un primo pezzo, ma, mancando la mia vanga della staffa, cioè di un elemento in ferro da fissare lungo il manico, poco sopra la lamina di metallo a forma di scudo, che si usa per appoggiarvi sopra il piede per infilare al meglio la lamina nel terreno, ho deciso, in attesa di acquistare la staffa stessa e montarla sulla vanga, di continuare in un altro momento.

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