alba a pierino

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mercoledì 5 settembre 2012

il sacrario della strage di Marzabotto


Ricordo, da piccolo, devo aver avuto 8-9 anni, di aver pianto, a lungo, consolato dalle amorevoli carezze di mia madre, dopo aver letto un libretto con una copertina di carta ingiallita, con titoli stampati in rosso, la cronaca di alcune stragi nazifasciste avvenute nel 1944 lungo la linea Gotica.
Mi ricordo la commozione che mi assalì dopo aver letto di come erano stati uccisi dei bambini della mia età.
Mi immedesimai nel loro terrore, nella loro impotenza, ma non capii.
Non riuscii a capire il senso di tutto ciò.
Il perché si potesse uccidere un bambino come me.
Non capii il perché, e forse piansi soprattutto per quello.


Oggi ho avuto l'occasione di visitare il sacrario della strage di Marzabotto.
Su di un lato delle scale che scendono all'ingresso, sono allineate due lapidi con le foto e i nomi delle circa 800 persone trucidate tra il 29 settembre ed il 5 ottobre del 1944.
Dei morti più giovani ci sono solo i nomi, senza immagine, non ne avevano avuto ne modo ne il tempo.
Ci sono foto di intere famiglie.





La persona che mi accompagna si ferma lì, non riesce neppure a scendere.



Il sacrario si trova sotto alla chiesa. Sono una serie di stanze che si affacciano nell'ampio corridoio centrale. Contengono le lapidi con i nomi e l'età dei trucidati nelle uccisioni sistematiche che riguardarono i paesi attorno a alle colline del Monte Sole.
Altre raccolgono le lapidi con i nomi di soldati italiani morti durante le due guerre mondiali.







Sono passati tanti anni da quel mio pianto.
Di più ne sono passati rispetto al tempo della strage.
Ma ancora non comprendo il senso di tutto ciò.
Non comprendo il giovane ragazzo tedesco, magari neppure ventenne,
che ha sparato ad una madre e a suo figlio di soli otto mesi che portava in braccio,
di cui leggo qui il nome.
Perché?



Riporto, perché probabilmente era questo il tenore di una delle pagine che lessi quella sera, sul mio lettino, un estratto dal sito del Centro Studi sulla Resistenza, riguardante il dossier sulla strage di Marzabotto, redatto da Arrigo Petacco.

(...)
La strage di Marzabotto del 29 settembre 1944 fu la tragica tappa finale di una «marcia della morte» che era iniziata in Versilia. L'esercito alleato indugiava davanti alla Linea Gotica e il maresciallo Albert Kesserling, per proteggersi dall'«incubo» dei partigiani, aveva ordinato di fare «terra bruciata» alle sue spalle.
Kesserling fu il mandante di una strage che nessun'altra superò per dimensioni e per ferocia e che assunse simbolicamente il nome di Marzabotto anche se i paesi colpiti furono molti di più.
L'esecutore si chiamava Walter Reder. Era un maggiore delle SS soprannominato «il monco» perché aveva lasciato l'avambraccio sinistro a Charkov, sul fronte orientale. Kesserling lo aveva scelto perché considerato uno «specialista» in materia.
Al comando del 16° Panzergrenadier «Reichsfuhrer», il «monco» iniziò il 12 agosto una marcia che lo porterà dalla Versilia alla Lunigiana e al Bolognese lasciando dietro di sé una scia insanguinata di tremila corpi straziati: uomini, donne, vecchi e bambini.
In Lunigiana si erano uniti alle SS anche elementi delle Brigate nere di Carrara e, con l'aiuto dei collaborazionisti in camicia nera, Reder continuò a seminare morte. Gragnola, Monzone, Santa Lucia, Vinca: fu un susseguirsi di stragi immotivate. Nella zona non c'erano partigiani: lo dirà anche la sentenza di condanna di Reder: «Non c'erano combattenti. Nei dirupi intorno al paese c'era soltanto povera gente terrorizzata...».
A fine settembre il «monco» si spinse in Emilia ai piedi del monte Sole dove si trovava la brigata partigiana «Stella Rossa». Per tre giorni, a Marzabotto, Grizzana e Vado di Monzuno, Reder compì la più tremenda delle sue rappresaglie. In località Caviglia i nazisti irruppero nella chiesa dove don Ubaldo Marchioni aveva radunato i fedeli per recitare il rosario. Furono tutti sterminati a colpi di mitraglia e bombe a mano.
Nella frazione di Castellano fu uccisa una donna coi suoi sette figli, a Tagliadazza furono fucilati undici donne e otto bambini, a Caprara vennero rastrellati e uccisi 108 abitanti compresa l'intera famiglia di Antonio Tonelli (15 componenti di cui 10 bambini).
A Marzabotto furono anche distrutti 800 appartamenti, una cartiera, un risificio, quindici strade, sette ponti, cinque scuole, undici cimiteri, nove chiese e cinque oratori. Infine, la morte nascosta: prima di andarsene Reder fece disseminare il territorio di mine che continuarono a uccidere fino al 1966 altre 55 persone. Complessivamente, le vittime di Marzabotto, Grizzano e Vado di Monzuno furono 1.830. Fra i caduti, 95 avevano meno di sedici anni, 110 ne avevano meno di dieci, 22 meno di due anni, 8 di un anno e quindici meno di un anno. Il più giovane si chiamava Walter Cardi: era nato da due settimane.
(...)

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