Oggi ho preso parte ad un convegno sul tema del turismo.
Appena arrivato sono stato accolto da due parole che la relatrice ha scandito proprio mentre entravo in sala:
“Viaggio esperienzale”.
Dopo quelle parole, ho quasi subito perso l’attenzione verso l’esplicazione di quel termine-concetto, e i miei sensi si sono riallineati con i ricordi del mio pomeriggio di ieri, lunedì.
Così mi sono reso conto che io il significato di viaggio esperienzale lo conoscevo, senza ancora saperlo.
Per scoprirlo mi era bastato percorrere il vialetto che divide, all’interno di una serra, la fila dei banconi coperti da vasetti di fiori.
Quelle poche decine di passi, che magari avevo fatto con lentezza, è stato come se mi avessero consacrato all’altare di una delle tendenze che sembrano essere più in voga nel turismo di questi ultimissimi anni.
La relatrice suggeriva agli operatori presenti di re-inventarsi per inserirsi in questa traiettoria.
Raccontava di altri territori dove non hanno fatto altro che riscoprire prima essi stessi, e poi far riscoprire al resto del mondo, la loro naturale vocazione al turismo "esperienzale", alla possibilità di vivere esperienze, fatte principalmente di emozioni autentiche, legate a particolari situazioni, luoghi, attività, personaggi, ecc.
Non solo far vedere la Toscana al turista, ma anche fargliela vivere.
Con le giornate scandite dai ritmi della natura, prima ancora che dall’orologio o la cadenza di un programma. Valorizzando la lenta osservazione degli scorci, l’opportunità di calpestare viuzze selciate in pietra serena che corrono tra le case che spesso si allungano lungo crinali, sui sedimenti di antichi borghi medioevali.
Già, ma il mio viaggio esperienzale tipo, io lo avevo fatto nel silenzio ovattato da un umido tepore, di una serra piena di vasetti di primule, profumate e colorate.
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