Forse sarà per il fatto che a me il teatro piace a prescindere.
Che già il gesto scenico, l'affabulazione, o più semplicemente il racconto fatto davanti a chi è lì per ascoltare, è per me sufficiente a catturare la mia attenzione.
Così, alla fine di uno spettacolo, prima ancora di chiedermi il significato, il messaggio contenuto da ciò che ho appena visto, anche ancor prima di chiedermi se mi è piaciuto o meno, mi metto a raccogliere le sensazioni provate durante lo spettacolo. Prima di fare una sintesi mi dedico a cercare le cose che mi hanno colpito.
Come faccio sulla spiaggia quando mi metto a raccogliere i sassi o le conchiglie più colorate o particolari. Per la mia semplice soddisfazione, per il mio catalogo di emozioni.
Ecco, lo spettacolo che ho visto questa sera, al teatro di Quaranthana, in Corazzano, si prestava proprio bene a questo mio gioco.
Mentre gli attori giocavano a rendere il loro spettacolo un vero "disastro", soprattutto dal punto di vista della trama e del coinvolgimento dello spettatore dal punto vista narrativo, io mi sono divertito a raccogliere espressioni, movimenti scenici, battute, immagini, che magari, come peraltro nello spettacolo stesso, potevano non avere nessun collegamento tra loro, ma che però potevano essere parti di un campionario di emozioni, o più semplicemente elementi d'interesse, un po' come gli appunti che si prendono durante una lezione o una riunione di lavoro.
Brevi frasi con la pretesa di raccogliere concetti.
Poi magari scopro che quei "disastri" non si susseguono a caso. Che poi in realtà sono frutto di un genio dell'arte della parola e dell'affabulazione, esponente del novecento russo, Daniil "Charms" Ivanovic Juvacev.
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