domenica 31 gennaio 2016
sabato 30 gennaio 2016
venerdì 29 gennaio 2016
il Mistero Buffo raccontato da Mario Pirovano
Al Cinema Teatro Amiata di Abbadia San Salvatore, dopo che per tutto il giorno si era parlato della "Geotermia Possibile", la sera, dopo cena, si è esibito Mario Pirovano, raccontando alcune novelle di "Mistero Buffo" di Dario Fo.
Mario Pirovano si presenta così:
— Mio padre faceva il calzolaio, mia madre era operaia. Ho
trascorso la mia infanzia nell’antica cascina Serbelloni di Pregnana, alle
porte di Milano. Da bambino giocavo tra i campi di grano e conducevo le mucche
al pascolo o le portavo ad abbeverarsi, aiutando mio zio.
Sono stato
apprendista di bottega, commesso, macellaio, elettricista… dall’età di dodici anni non c’è mestiere che io non abbia sperimentato.
Poi, a ventiquattro anni, sono emigrato in Inghilterra, e anche qui ho svolto i
mestieri più disparati. (...) —
— (...) Vivevo a Londra da quasi dieci anni. Una sera sono andato al
teatro ‘Riverside Studios’ per assistere a “Mistero Buffo”: fu una
folgorazione.
Sono tornato ogni sera a teatro per
rivedere lo spettacolo e conoscere finalmente Dario Fo e Franca Rame.
Da quel
momento sono entrato a far parte della loro compagnia ricoprendo incarichi
diversi: traduttore, responsabile della diffusione del materiale editoriale,
aiuto elettricista, aiuto macchinista, direttore di scena, assistente alla
regia, comparsa… —
Sul modello di Fo, Pirovano porta avanti la tradizione degli
antichi narratori e giullari di ogni paese che si servivano soltanto della voce
e del gesto per conquistare l'attenzione del pubblico
Per anni Dario Fo ha condotto ricerche sulla cultura
popolare indagando su testi in lingua volgare, in latino ed in lingue
neolatine. Li ha tradotti, riscritti, riadattati fino a dar loro una chiave
teatrale, sotto forma di giullarate.
I giullari recitavano nei mercati, nelle piazze, nei cortili
e qualche volta addirittura dentro le chiese. E di giullarate è composto
“Mistero Buffo”, lo spettacolo più famoso di Dario Fo, sulle radici del teatro
popolare, quello dei giullari, della commedia dell’arte e dei misteri.
Il termine “mistero” è usato già nel II°, III° secolo dopo
Cristo per indicare una rappresentazione sacra. Un mistero buffo è dunque uno
spettacolo grottesco, una rappresentazione che nasce dal popolo, un mezzo di
espressione popolare ma anche di provocazione e di agitazione delle idee.
Il “Mistero Buffo” di Dario Fo è stato riproposto dal ’69 ad
oggi in oltre 5.000 allestimenti in Italia e all’estero e viene ormai
considerato un ‘classico’ del Novecento.
La lingua in cui vengono recitate è un particolare insieme
di dialetti delle regioni settentrionali e centrali dell’Italia, una lingua
sempre perfettamente comprensibile grazie alla forza della gestualità che
accompagna la narrazione. Si tratta di un monologo senza scenario, senza
musica, senza costumi, che sollecita l’immaginazione e la partecipazione degli
spettatori al punto da rendere quasi visibile, sulla scena, una molteplicità di
personaggi, di oggetti e di luoghi.
Numerose sono le giullarate che compongono il”Mistero Buffo”, Pirovano ci ha raccontato quattro di queste giullarate.
“Il primo miracolo di Gesù Bambino” è il poetico racconto tratto dai Vangeli apocrifi che descrive come il piccolo Jesus, che fa volare gli uccellini di argilla fatti dai compagni, reagisce alla prepotenza di chi glieli distrugge.
“Bonifacio VIII” ci presenta il Pontefice prima nella magnificenza della sua vestizione, poi nel suo incontro-scontro con Gesù. E’ il classico anacronismo medioevale teso a sottolineare l’immensa differenza tra i due.
“La Resurrezione di Lazzaro” è la descrizione parodistica del miracolo più popolare del Nuovo Testamento, vissuto come grande happening del tempo. La drammaticità del momento si intreccia alla comicità delle diverse situazioni e dei diversi personaggi a cui la voce dell’ attore dà vita.
“La fame dello Zanni” racconta, utilizzando anche il
grammelot, la storia di una fame atavica attraverso gli sproloqui e le
contorsioni di uno Zanni, nome con cui
venivano indicati i contadini del Cinquecento nelle campagne del Veneto.
Lo spettacolo che ci gustiamo è uno straordinario impasto comicità e di drammaticità.
Soprattutto per via dei continui richiami all’attualità, che infila tra i brani, così da svelarci le false ingenuità e le ipocrisie del nostro presente.
giovedì 28 gennaio 2016
mercoledì 27 gennaio 2016
di Shlomo Venezia, le mani nella morte
Quando Shlomo Venezia,
scomparve il primo ottobre del 2012, era l’unico sopravvissuto in Italia, tra
una dozzina nel mondo, al Sonderkommando , la Squadra Speciale del campo di
Auschwitz- Birkenau.
Della sua tragica esperienza,
Shlomo Venezia ci ha lasciato una testimonianza preziosa, il suo libro
Sonderkommando Auschwitz, edito da Rizzoli, dalla lettura del quale si è
ispirata Firenza Guidi nella ideazione della performance interpretata da
Leonardo Lami. Arrivando a toccare, come tocca la lettura del libro, le corde
più profonde dell’anima e solleva domande senza risposta sulla crudeltà
perpetrata.
Su duemilacinquecento ebrei
arrivati con il convoglio di Shlomo, trecentoventi uomini, tra cui anche il
fratello e i cugini di Shlomo; e trecentoventotto donne, compresa sua sorella
maggiore, furono immatricolati e destinati ai vari settori del campo. Per tutti
gli altri, comprese la madre e le due sorelline minori, la destinazione finale
è stata, subito, la camera a gas.
Da qui inizia la seconda vita di Shlomo Venezia, assegnato
al Sonderkommando, il Comando Speciale, il cui compito era lo smaltimento e la
cremazione dei corpi dei deportati uccisi mediante il terribile gas Zyklon B.
Fondamentalmente il lavoro consisteva nell’eliminare le prove di quello che realmente
stava accadendo.
Una vera immersione nel cuore dell’inferno, dove la malvagità
imperava su tutto e su tutti e dove non esistevano più uomini, persone,
bambini, ma numeri, pezzi e poi scarti.
La grande malvagità dell’istituzione di queste squadre rappresentò
il più grave crimine perché le SS cercarono attraverso il Sonderkommando di
scaricare, o meglio condividere, il crimine sulle vittime stesse.
Shlomo è un sopravvissuto, e
come molti altri autori che hanno scritto le terribili, preziosissime pagine
della Memoria non c'è una vera condanna, ma nuda constatazione, scarna cronaca,
pura narrazione.
I fatti vengono raccontati così come si sono svolti.
I fatti vengono raccontati così come si sono svolti.
Nel cuore di chi è tornato
resta la malattia dei sopravvissuti, quella sensazione che ti paralizza non appena
si prova un po’ di gioia, quando tutto pare andare bene, e la disperazione
assale di nuovo, più forte di sempre, e la sofferenza morde, più affamata che
mai.
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