sabato 3 marzo 2012

l'uomo del faro, al frantoio della Briccola


L'atrio del palazzo Del Campana Guazzesi fa da foyer-biglietteria dello spettacolo che gli amici di TerritorioTeatro, Lapo Ciari ed Andrea Mancini, mettono in scena nel Frantoio della Briccola, trasformato quest'anno in antro delle meraviglie.




L'attesa è interrotta da un’improbabile guida che ci invita, come si fa ad una comitiva di turisti, a visitare un vecchio faro.
La comitiva di turisti-spettatori si incammina lungo via Maioli, come fosse un sentiero sulla scogliera di Prodica, e viene condotta al faro-frantoio.




Qui, improvvisamente, mentre il pubblico si dispone, lo spettacolo inizia, e la struttura di scena prende forma e vita, pian piano che la storia prende corpo.





E' la storia di un uomo a strapiombo su se stesso. Perché dentro di ciascuno, quasi sempre c'è un'ombra che copre, nasconde, agli altri, come a se stessi, frammenti che non si vogliono ricordare, e che non si è riusciti a rimuovere.
Il figlio del vecchio guardiano del faro, ritorna nel luogo della sua giovinezza, rivive suo padre, la storia della sorella perduta, e resta in bilico tra paura, tanta, e la speranza, vaga.
L'intreccio di fili su cui ricostruisce il faro, è popolato di oggetti. Come segni, e pesi, di tante inestricate storie, di tante inestricate vicende, di tante inesplicate voci, che si accavallano, e confondono il tempo, di cui si perde il filo originale.









La trama dello spettacolo nasce da un articolo di cronaca apparso sui giornali, che denuncia lo stato di abbandono di un faro dell’isola di Procida.
Per poi prendere corpo nelle memorie del figlio del vecchio fanalista, che, tornato a visitarlo dopo tanti anni, colpito dallo stato di abbandono del luogo dell'infanzia, viene travolto nei sentimenti dal rivivere i ricordi del suo passato. I faro gli appare così trasformato, che quel passato acquista, ai suoi occhi nuovi, una dimensione tra sogno e realtà.








“L'uomo del faro”, nella sua semplicità scenica, dove l'azione scenica è tra il pubblico, con gli spettatori che assistono e si trovano partecipi a loro malgrado, tra gli oggetti in movimento, spesso da dover schivare, e la fisicità dei gesti dell'attore, è la sintesi del teatro che Mancini ha fatto in oltre quarantanni di lavoro.
Che trasmette grande forza poetica, la dove usa l'ironia per condire e dare sapore al dramma del vivere.




L'ambiente, le luci, la gestualità di Lapo, la storia, trovo tutto così coinvolgente che alla fine dello spettacolo mi ritrovo con più di 150 scatti fotografici, tra i quali, stasera, ho fatto molta fatica a scegliere una selezione da pubblicare qui sul mio blog.



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