alba a pierino

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venerdì 10 dicembre 2010

girasoli, di quando si parlava della fine del millennio (9)

Il 5 maggio scorso avevo iniziato a riproporre "Frammenti", una collana di foto-pensieri in cui raccoglievo/raccontavo dei segni che fossero capaci di rappresentare il varco della data del cambio del millennio.
Il primo numero aveva per titolo "MATTONI".
http://aurelio-vivereapierino.blogspot.com/2010/05/di-quando-si-parlava-della-fine-del.html
Il secondo numero, "NUVOLE".
http://aurelio-vivereapierino.blogspot.com/2010/05/di-quando-si-parlava-della-fine-del.html
Il terzo numero, "STRADE".
http://aurelio-vivereapierino.blogspot.com/2010/07/strade-di-quando-si-parlava-della-fine.html
Il quarto numero, "ORIZZONTI".
http://aurelio-vivereapierino.blogspot.com/2010/07/orizzonti-di-quando-si-parlava-della.html
Il quinto numero, "ACQUE".
http://aurelio-vivereapierino.blogspot.com/2010/09/acque-di-quando-si-parlava-della-fine.html
Il sesto numero, "MACCHINE".
http://aurelio-vivereapierino.blogspot.com/2010/10/macchine-di-quando-si-parlava-della.html
Il settimo numero, "PAPAVERI".
http://aurelio-vivereapierino.blogspot.com/2010/11/papaveri-di-quando-si-parlava-della.html
L'ottavo numero, "VITIGNI".
http://aurelio-vivereapierino.blogspot.com/2010/11/vitigni-di-quando-si-parlava-della-fine.html

Continuando a seguire il filo conduttore fondato sul confronto rappresentato dalla contrapposizione-complementarietà tra l'uomo e la natura, questo nono numero, intitolato "GIRASOLI", primo elemento della terza tetralogia, voleva rappresentare come la natura ha i suoi tempi, i suoi cicli, il suo calendario, indipendentemente dal calendario della storia dell'uomo.






Il nono numero di "FRAMMENTI", realizzato nel mese di settembre del 1997, lo presentai nei locali dell'Ex Frantoio di San Domenico, in San Miniato, nello stesso mese. Per riproporlo poi nel mese di novembre dello stesso anno, all'interno delle iniziative dell'annuale Mostra Mercato del Tartufo Bianco di San Miniato.





primi pensieri
Una lunga storia di lotte per la sopravvivenza.

Nella tumultuosità degli eventi che caratterizzano questo fine millennio, fuori e dentro le nostre abitudini, viaggiamo. Lo facciamo attraverso le notizie che, mediate, ci giungono dal villaggio globale, apparendoci lontane e curiose, ma così vicine nei significati e spesso nella loro drammaticità. Sia quelle sociali così intrinsicamente legate alla nostra storia passata o alla probabile futura, sia quelle di carattere economico che silenziose e date ai margini del pacchetto informativo, ma così pesanti sulle nostre future aspettative. Le strisce di notizie che attraversano il nostro quotidiano rapporto con i media ci mostrano un pianeta che si avvicina ad una data che, in verità, ha un significato per una sola parte di esso.
Parte del nostro pianeta, la parte che professa la fede cristiana, si accinge a festeggiare l'avvento del terzo millennio, ma è una porzione variegata, che giunge a questo appuntamento da situazioni molto diverse tra loro. Sulla strada che porta a quest'avvenimento si incontra un occidente opulento, ricco e dissipatore, dove anche chi è considerato povero ha possibilità di consumi, ma anche di aspirazioni sociali che non appartengono alla gran massa degli altri quattro quinti degli abitanti del pianeta. Fuori da esso c'è di tutto, dall'immensa ricchezza al niente, passando attraverso guerre, diritti civili negati, sfruttamento.
Il popolo Masai, che abita l'altopiano keniota, in Africa orientale, da me direttamente conosciuto la scorsa estate, non sa del terzo millennio quanto dell'attuale, per loro il passato sono i riti ancestrali che ne regolano le abitudini e la venerazione degli avi. Mentre il futuro si ferma nello scrutare l'orizzonte in attesa di una pioggia che li aiuti nella loro principale quotidiana occupazione, la ricerca dell'acqua. Il terzo millennio visto dall'altopiano dell'Africa orientale assomiglia molto da quello che si può scorgere stando sdraiati in un campo di girasoli. In esso si nota la febbrile azione delle api, che si agitano da una pianta all'altra. I girasoli, con i loro magnifici fiori gialli, stanno tutti disposti verso il luogo dove il sole sorge, qualsiasi sia la disposizione del seme al momento della semina, incuranti di tutto.
Di fronte a questa immutabilità del comportamento dei girasoli in particolare, come della natura in generale, al cospetto del nostro conteggio degli anni, si può cogliere la similitudine con la volontà di quelle popolazioni di mantenere i loro usi e costumi nonostante la continua contaminazione attuata dal turismo proveniente dal nostro occidente opulento e dissipatore. Il Masai coglie il motivo che porta quelle persone a visitare la loro terra, ma due cose gli rimangono incomprensibili. Accettano che sia la curiosità a condurci fin lì, ma non comprende da dove possono provenire le risorse per farlo. L'altra cosa che non comprendono, o che non vogliono comprendere è il significato di alcuni cippi in pietra che delimitano il confine tra la Tanzania ed il Kenia e che attraversa la loro terra.
Come è difficile la storia di un mondo dove ciascun uomo deve lottare per avere una propria storia. E come esso è complementare con la natura in questo. In natura le piante, come gli animali, sono in continua lotta tra loro per l'utilizzo delle fonti nutritive. I nostri girasoli, anche loro, esplicano un'azione competitiva con le altre piante presenti sul terreno, azione che compiono anche e soprattutto con l'aiuto dell'uomo che ne cura la pulizia e la crescita, ma anche tra loro stessi. Semi che riescono a germinare per primi, grazie ad una più alta capacità energetica data ad essi dalla casualità dei fattori influenzati dal miglioramento delle specie attuato in forma complementare dall'uomo e dalla natura, danno poi piante che si accrescono più velocemente a scapito di piante meno energiche che le sono vicine.
Per legare questo nono frammento raccolto dentro alla mia vita che si accinge ad attraversare il passaggio al terzo millennio, al mondo che si muove attorno, potremmo lanciare lo sguardo verso chi, in un certo qual modo, ha già compiuto un trapasso temporale forse ben più importante dell'avvento del terzo millennio. Nel sud-est asiatico gli abitanti di Honk-Kong hanno già scoperto il loro terzo millennio, una data ha rappresentato per loro, senza particolari sconvolgimenti, il trapasso ad un nuovo sistema di vita. Pur restando nella loro abitazione, mantenendo la stessa medesima occupazione, hanno cambiato identità. Nuovi rapporti col mondo esterno, nuovi rapporti interpersonali con la propria città, nuovo futuro davanti alle proprie aspettative.
Il terzo millennio lì è davvero arrivato, a noi ci aspetta una data da festeggiare, un giubileo da onorare, e nient'altro che aspettarsi un altro giorno?

pensieri in foto
Il foto-percorso che segue questo nono frammenti di fine millennio, si sviluppa all'interno di una ricerca di riproduzione di particolari forme e colori che caratterizzano le fasi di sviluppo di una pianta, che all'interno dell'infinito panorama che la natura è capace di mettere davanti ai nostri occhi, si mostra in maniera emozionale davanti ai nostri occhi. La ricerca si muove dentro ad aspetti che si formano in maniera mediata tra la bellezza della pianta e i particolari meccanismi biologici che ne regolano la vita.
Lo splendore del fiore, la sua originale posizione, la lunghezza ed il meccanismo della fioritura, la maturazione del seme, attraverso questi momenti-aspetti la ricerca fotografica si muove confrontandosi con l'ambiente dove i girasoli sono inseriti. Così l'immagine fotografica nasce dapprima come momento di testimonianza per divenire poi atto di rappresentazione dal vero di particolari che l'animo coglie nel dato istante. Quindi nella molteplicità di scenari che una vasta coltivazione, come quella dei girasoli, offre, la ricerca si esplica nell'individuazione di quei segmenti di confronto tra autore e soggetto.
Avviene così che tra i fattori che mediano lo stato d'animo che si predispone al confronto col soggetto, entra anche il mezzo finale che mostra i segmenti di confronto. Così la volontà-necessità di usare il formato col quale propongo i foto-frammenti in collezione mi spingono, per esaltarne la resa visiva e l'impatto emozionale, ad una esasperata esclusione di soggetti e colori, fino a cercare di giungere ad effetti bicromatici con la doppia valenza. Un primo valore artistico-visivo, ed un secondo didattico-testimone.

Otto fotoFrammenti di girasoli fioriti e maturati quest'estate.
I foto-frammenti che propongo con "GIRASOLI" sono immagini raccolte in un unico giorno di questo luminoso luglio, osservando e ritraendo i girasoli seminati nei dintorni di Ponte a Egola ed alla Badia.


La fioritura del girasole avviene in maniera scalare, il momento de la schiusa dei fiori segnerà il carattere della pianta. I girasoli che schiuderanno per primi avranno fiori più grandi e quindi il periodo di fioritura sarà maggiore, perché maggiori saranno i semi che si formeranno.


I girasoli hanno questo nome perché il loro fiore ha la caratteristica di aprirsi nella direzione in cui sorge il sole. Così le coltivazioni sono costituite da file e file di piante che hanno tutte i fiori rivolti verso un'unica direzione. E come occhi sulla strada i fiori dei girasoli sembrano, per l'insistenza con la quale sembrano rivolti, davvero guardare in una precisa direzione.


Una folla di occhi o volti, potrebbe essere questa una delle più semplici metafore che un gruppo di girasoli, tutti rivolti verso di noi, ci possono ispirare. Con la parte centrale del fiore dove si formano giornalmente i semi, ciascuno alla propria velocità, che danno a ciascuno connotati fisici diversi.


Un campo di girasoli è una magnifica distesa di giallo e di verde, che va ad inserirsi dentro al paesaggio rurale, fatto di altre colture, macchie spontanee e lineamenti orografici.


I gialli petali dei girasoli sono leggere punte che si irradiano attorno al cerchio dei semi in formazione. Essi risaltano il loro splendente colore nell'azzurro del cielo estivo.


Un'altra particolarità del girasole è la sua affinità con gli insetti impollinatori. Trovare un'ape intenta a succhiare il polline del suo enorme fiore è un'incontro comunissimo. Si può tranquillamente affermare che le api sono parte integrante della coltivazione del girasole.


I semi del girasole sono oramai formati, i petali sono caduti la la cariosside, il cerchio di semi, si piega rivolgendosi lentamente verso il basso. Questo rivolgersi verso il basso è un'azione di difesa che la pianta compie per salvaguardare i semi dalla voracità degli uccelli, a questo scopo vengono realizzate delle selezioni genetiche verso specie che hanno più accentuata questa caratteristica. Il seme è coperto a sua volta di una piccola infiorescenza, che durante la maturazione cade.


Il girasole maturo è terreno di conquista per gli stormi di uccelli che vagano per la campagna in cerca di cibo. In questo girasole sono molto evidenti i segni di questa azione che ben evidenzia la lotta che i vari componenti della natura compiono tra loro per la propria sopravvivenza.

mercoledì 17 novembre 2010

vitigni, di quando si parlava della fine del millennio (8)

Il 5 maggio scorso avevo iniziato a riproporre "Frammenti", una collana di foto-pensieri in cui raccoglievo/raccontavo dei segni che fossero capaci di rappresentare il varco della data del cambio del millennio.
Il primo numero aveva per titolo "MATTONI".
http://aurelio-vivereapierino.blogspot.com/2010/05/di-quando-si-parlava-della-fine-del.html
Il secondo numero, "NUVOLE".
http://aurelio-vivereapierino.blogspot.com/2010/05/di-quando-si-parlava-della-fine-del.html
Il terzo numero, "STRADE".
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Il quarto numero, "ORIZZONTI".
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Il quinto numero, "ACQUE".
http://aurelio-vivereapierino.blogspot.com/2010/09/acque-di-quando-si-parlava-della-fine.html
Il sesto numero, "MACCHINE".
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Il settimo numero, "PAPAVERI".
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Continuando a seguire il filo conduttore fondato sul confronto rappresentato dalla contrapposizione-complementarietà tra l'uomo e la natura, questo ottavo numero, intitolato "VITIGNI", quarto elemento della seconda tetralogia, voleva rappresentare la capacità dell'uomo di modificare la natura per le proprie esigenze di nutrizione.






L'ottavo numero di "FRAMMENTI", realizzato nel mese di aprile del 1997, lo presentai nei locali dell'Ex Frantoio di San Domenico, in San Miniato, il 13 ed il 20 aprile 1997.







primi pensieri.
La natura da cui nasce e si nutre l'uomo.

Nel chiudere la tetralogia, impostato su particolari aspetti dove si esplica la contrapposizione e la complementarietà uomo natura, su cui si è sviluppato questo secondo gruppo di frammenti, "vitigni" vuol rappresentare, in contrapposizione a "Papaveri", dove si mostrava la capacità della natura di creare a dispetto della volontà umana, la volontà umana di piegare alle proprie esigenze di nutrizione gli elementi della natura. Ma il percorso non può essere risolto in quest'unico, e per molti versi falso in parte. Infatti con "vitigni" si possono aprire una moltitudine di interessanti vie per la costruzione di un'interessante quadro del rapporto contrapposto, ma soprattutto complementare che l'uomo ha instaurato con l'ambiente in cui vive.
Volendo partire da un falso presupposto, ma oramai luogo comune che vede il mondo popolato da due distinte entità, una l'uomo e l'altra la natura, ci possiamo addentrare in un percorso dove possiamo incontrare la realizzazione della capacità di adattamento simile a tutti gli esseri viventi, sia animali che vegetali. Se da una parte assistiamo ad una supremazia dell'uomo, dovuta all'estrema capacità di sintesi e di elaborazione del suo cervello, su tutto il resto, che si realizza nella colonizzazione dell'intero pianeta, esso resta comunque strettamente legato alla sua fonte di nutrimento, il resto degli elementi della natura. L'uomo, pur nelle condizioni di vivere, attraverso l'esplicazione della sua capacità intellettiva, in qualsiasi ambiente, anche nello spazio cosmico, non è capace di allontanarsi da quegli ambienti ricchi del suo nutrimento più del tempo permesso dalle scorte che è capace di portare con se.
Questo intrinseco ed indissolubile legame si concretizza così come un'ancestrale cordone ombellicale con la madre natura. Dove l'uomo nasce da essa, per nutrirsi di essa. A questo punto si potrebbe aprire un'altro scenario. Parlare di nutrimento vuol dire parlare di agricoltura. E per farlo, gettando lo sguardo al terzo millennio, oramai culturalmente legato ad un'idea non più terrena della nostra esistenza, ma cosmica e dall'impronta fantascientifica, si apre uno scenario futuribile alquanto fosco. Innanzi tutto si potrebbe iniziare col pensare alle nostre astronavi del terzo millennio e alle ragioni che le spingeranno verso l'orizzonte dell'universo. Sicuramente i primi lo faranno per spirito di avventura e megalomania, come lo fece Cristoforo Colombo, ma saranno sicuramente finanziati da chi ha esigenze economiche e di governo ben precise, come fecero a loro tempo col navigatore genovese i reali di Spagna.
Così si potrebbe ipotizzare che il terzo millennio sarà caratterizzato dall'intuizione avventurosa e megalomane di un astronavigatore, che finanziato da un qualche potente della terra bisognoso di materie prime oramai preziose sul nostro pianeta e di nuove terre da colonizzare per sfamare il nostro pianeta. Verranno scoperti nuovi semi e nuove piante, l'alimentazione cambierà ma calmerà per un po' ed in qualche modo la fame del terzo millennio, come fecero le patate tra i popoli del vecchio continente nel millennio che si sta concludendo. Le nuove piante e i nuovi frutti verranno studiati dall'uomo attraverso le capacità del proprio cervello. E, come i nostri antenati di qualche millennio fa', che riuscirono a capire che il frutto della vite conteneva un succo dolciastro che spremuto fermentava e diventava inebriante, capiranno le proprietà dei nuovi frutti.
Col tempo l'uomo che abitava il nostro pianeta scoprì che quella pianta poteva essere propagata facendo nascere nuove piante identiche alla prima, che a quelle piante se le si toglieva i rami vecchi, infruttiferi, essa viveva di più e dava maggiori frutti e più buoni. Con altro tempo ancora ha affinato le conoscenze della fermentazione, arrivando a costruire recipienti che la facilitassero e che, costruiti in modo da evitare il contatto del succo fermentato con l'aria ne favorivano la conservazione nel tempo, impedendo l'azione acidificante dell'ossigeno. Il vino degli antichi oggi sarebbe imbevibile. Veniva consumato quasi subito, appena terminata la fermentazione, per evitarne la veloce acidificazione.
Il titolo stesso di questo frammento vuol essere significativo. Non viti, generico, e non vigneti, fuorviante. Vitigno è la specie colturale, è lo studio e l'applicazione delle conoscenze genetiche della natura della pianta. L'esaltazione delle sue caratteristiche migliori, selezionate attraverso la riproduzione di quelle linee che meglio rispondono alle infinite peculiarità dei terreni che ospitano le singole piante. Così da meglio focalizzare l'attenzione sull'ultimo scenario che si potrebbe aprire in questo viaggio dentro il nostro futuro nutritivo, all'interno del quale potremmo trovare le tappe dello sviluppo genetico delle piante che usiamo per alimentarci. Sviluppo genetico che segue diverse e significative strade, che crescono seguendo spesso irresistibili accelerazioni verso una ricerca esasperata di piante dall'impronta genetica omogenea alle esigenze di coltivazione, che fanno però confluire le varie strade della sperimentazione nel gran calderone delle aspettative economiche. Soia docet.

pensieri in foto
E' la prima volta, pur vivendoci un rapporto stretto e quotidiano, che mi confronto con la mia macchina fotografica con questa pianta. La vite è una pianta molto particolare nella forma, mediazione tra una naturale tendenza a rampicare e ad espandersi nella normale direzione circolare, e la volontà dell'uomo che la coltiva a tenerla nelle forme a lui più rispondenti alle esigenze colturali. La sua propensione alla crescita va a discapito della produzione dei frutti, maggiori sono i punti dove essa, passato il periodo di dormienza invernale, germoglia e si accresce, minore è la sua capacità di produrre, crescere e maturare i propri frutti.
Col tempo l'uomo ha adattato le proprie coltivazioni alle particolari caratteristiche climatiche prima e del terreno poi. Nelle regioni più calde e soleggiate si è sviluppata l'usanza di far assumere alla pianta una notevole altezza e attraverso un impianto colturale particolare si spinge la pianta a formare un effetto tendone con l'apparato fogliare, della stessa superficie dell'appezzamento coltivato. Con questo sistema la pianta è capace di raggiungere grosse quantità e forte contenuto zuccherino. In regioni più temperate, come la nostra, alla pianta viene fatta assumere una forma mediamente contenuta, e all'apparato fogliare viene fatto assumere una forma a spalliera. Si ottengono rese più modeste ma qualitativamente molto pregiate. Nelle zone più fredde ed umide alla vite viene fatta assumere una forma molto contenuta nello sviluppo che le permette di produrre vini di qualità. Fino ad arrivare alle regioni della Francia settentrionale, notissime per lo champagne, dove la vite ha forma di piccolo cespuglio.
Fotografare questa pianta è molto interessante, permette di entrare in contatto anche con l'esperienza e la capacità di chi la coltiva. La potatura e la legatura appartengono al particolare bagaglio di conoscenze che ciascun agricoltore ha raccolto nella sua esistenza. Bagaglio costituito soprattutto da memorie visive e usanze tramandate oralmente. Per meglio condurre il percorso di questo ottavo frammento raccolto per testimoniare il millennio che sta terminando, ho scelto come soggetto una pratica colturale quasi scomparsa. Le viti fotografate fanno parte di una proda sostenuta da pioppi, che ha rappresentato fino a pochi decenni fà il sistema di allevamento della vite più diffuso in questa zona.

Otto fotoFrammenti di un vigneto potato e legato quest'inverno
I foto-frammenti che propongo con "VITIGNI" sono immagini raccolte in una soleggiata mattina dello scorso febbraio, ritraendo una proda in località Ventignano, che si trova a segnare il confine tra le provincie di Pisa e Firenze.



Come l'impalcatura per la costruzione di un edificio, alla vite vengono realizzati degli arditi sostegni per modellarne le forme. Fili e canne, che, legandosi sostenendosi a vicenda, giungono a costituire una rete dove i tralci delle piante vengono forzatamente indirizzati.



Queste impalcature giungono, in molti casi, dove richiedono lo sfruttamento di situazioni confuse, rappresentate dalla presenza e dallo sviluppo di piante vecchie, con un sesto d'impianto molto disordinato, determinato da una propagazione senza un criterio geometrico, a realizzare un vero e proprio castello asimmetrico ma funzionalmente ordinato.



Gli intrecci che nascono nell'allevare questa pianta, sono frutto di un armonico intervento sulla natura libera ed incosciente della pianta, che la porta a esplodere di vegetazione oltre le proprie forze.



Nel cercare di limitare questa sua forza, per allungare la vita della pianta, e per trarne la giusta produzione di frutti, i tralci formatisi l'anno precedente e che nel presente fruttificheranno, vengono piegati a formare un arco, splendidamente intrecciato e legato.



Pioppo e vite. La coltura della vite allevata lungo i bordi dei campi era una coltura molto povera. Dove il contadino, per dare un sostegno alle piante, mancandogli il denaro per acquistare pali e filo di ferro, piantava vicino alle piante di vite, delle piante comunemente chiamate pioppi. Piante di poco sviluppo, longeve quanto e più della pianta che erano chiamati a sostenere.



Ma la vita di queste due piante si svolge in simbiosi forzata tenuta assieme da innumerevoli legature che tengono la vite imprigionata nelle forme dell'albero.



La legatura stessa della vite è frutto dell'uso parsimonioso delle povere risorse che i contadini hanno da sempre dovuto attingere dalla conoscenza della natura nel quale vivevano. Così per legare i tralci hanno sviluppato un'uso eccezionale dei flessibili rami di salice, avvolti con maestria costituiscono dei legami poveri ma resistenti.



Le viti, disposte in fila più o meno ordinata, vanno a costituire, nel caso del frammento proposto una proda lungo la strada. Tra la fossa ed il campo coltivato. Nei tempi dell'agricoltura di inizio secolo, costituita da un lavoro numeroso e completamente manuale che vedeva la presenza nel campo dall'alba al tramonto, la proda rappresentava un luogo di socializzazione nei momenti di riposo e alimentazione che caratterizzavano le pause del lavoro.

sabato 6 novembre 2010

papaveri, di quando si parlava della fine del millennio (7)

Il 5 maggio scorso avevo iniziato a riproporre "Frammenti", una collana di foto-pensieri in cui raccoglievo/raccontavo dei segni che fossero capaci di rappresentare il varco della data del cambio del millennio.
Il primo numero aveva per titolo "MATTONI".
http://aurelio-vivereapierino.blogspot.com/2010/05/di-quando-si-parlava-della-fine-del.html
Il secondo numero, "NUVOLE".
http://aurelio-vivereapierino.blogspot.com/2010/05/di-quando-si-parlava-della-fine-del.html
Il terzo numero, "STRADE".
http://aurelio-vivereapierino.blogspot.com/2010/07/strade-di-quando-si-parlava-della-fine.html
Il quarto numero, "ORIZZONTI".
http://aurelio-vivereapierino.blogspot.com/2010/07/orizzonti-di-quando-si-parlava-della.html
Il quinto numero, "ACQUE".
http://aurelio-vivereapierino.blogspot.com/2010/09/acque-di-quando-si-parlava-della-fine.html
Il sesto numero, "MACCHINE".
http://aurelio-vivereapierino.blogspot.com/2010/10/macchine-di-quando-si-parlava-della.html
Continuando a seguire il filo conduttore fondato sul confronto rappresentato dalla contrapposizione-complementarietà tra l'uomo e la natura, questo settimo numero, intitolato "PAPAVERI", terzo elemento della seconda tetralogia, voleva rappresentare la capacità di intervenire sui meccanismi della natura.





Il settimo numero di "FRAMMENTI", realizzato nel mese di novembre del 1996, lo presentai nei locali dell'Ex Frantoio di San Domenico, in San Miniato, il 1° dicembre 1996.







primi pensieri
L'Uomo capace di annientare o modificare la natura.

"Macchine" potrà essere apparso nei primi pensieri, pur con la nota finale, un generico elogio alle capacità umane, soprattutto di quelle tecniche e tecnologiche. Ecco che allora voglio ricondurre su di un piano più realistico la contrapposizione e complementarietà dell'uomo con la natura. Perché nonostante tutto l'uomo resta subordinato alle leggi che la natura detta ed impone. Anche la stessa forza che spinge l'uomo a prevalere sui suoi simili, attraverso la forza o l'intelletto, ha origine nelle basi che regolano la natura stessa, e cioè l'istinto di sopravvivenza. Un istinto di sopravvivenza che si esplica in vari modi, dalla sopraffazione territoriale alla prevaricazione economica, per concretizzarsi nel concetto globale del "togliere per avere".
Così l'uomo va comportandosi con la natura stessa. Raggiunto un livello di bisogni che va oltre le reali esigenze di sopravvivenza, che passa attraverso l'abbondanza del cibo, la frivolezza dell'abbigliamento, il lusso dell'abitazione, si è innescato un percorso che coinvolge l'intera popolazione mondiale in una corsa alla omologazione. Se da un lato si va affondando ed allargando il solco che divide le varie parti del mondo, come anche le diverse componenti di ogni singola realtà sociale, dall'altro si assiste ad una uniformità di nuovi bisogni, che vanno ad insinuarsi anche in realtà socio-culturali distanti e contrapposte al modello dominante. Un unico modo di vivere sembra andare affermandosi sull'intero pianeta che si appresta ad approdare al terzo millennio.
Mentre l'attuale situazione segnala come motivo dominante dei pensieri umani l'affermazione del libero mercato, dentro al quale si cerca di ritagliarsi quel territorio da sottrarre da altri per esplicare la propria sopravvivenza, l'orizzonte è quanto mai scuro e tumultuoso. Lo sviluppo nell'unica direzione sta provocando tali e profondi cambiamenti all'interno dell'uomo, come all'interno dei meccanismi che, fragili ed incontrallabili, regolano la natura. Migrazioni bibliche traghettano disperati da tutto il mondo all'interno di società sature e vetuste. Culture millenarie che si sgretolano al cospetto dei nuovi modelli, ma che provocheranno contaminazioni tali e profonde da minare il modello stesso, impiantato su di una cultura alta ma mal diffusa, appartenente ad una esigua minoranza degli abitanti del pianeta. Il gran fiume di disperazione e fame si sta riversando in un piccolo mare, già intaccato da una situazione ambientale compromessa da errate politiche industriali, e quando la piena ne avrà riempito l'invaso, nessuno per adesso può o vuol fare previsioni.
Attorno a questa lotta intestina tra uomini in cerca di futuro, tutto viene coinvolto. Ma la ricerca di spazio per trarne i frutti per inseguire i propri bisogni ha anche altri confini. La natura è uno di questi, e l'uomo cerca di superarla, abbatterla, con la propria intelligenza, se così la si può chiamare, nel bene come nel male. I "PAPAVERI" che fanno da supporto nella realizzazione e costruzione di questo settimo frammento da portare come memoria del millennio che va tramontando, possono rappresentare uno dei confini esistenti tra l'uomo e la natura. Il papavero, per chi, come me, vive del lavoro della terra, è tra le erbe infestanti per antonomasia. Questo perché il papavero è un'infestante della cultura dei cereali, prodotto base dell'alimentazione umana. L'erba infestante è il nemico da combattere, quel male che non deve colpire la fase di produzione dei beni agricoli, perché ne comprometterebbe la quantità.
Già, la quantità, non la qualità. L'uomo esplica la sua capacità tecnologica e scientifica in campo agricolo soprattutto sulla strada dello sviluppo dei numeri. Se l'uomo ha fame di un prodotto, di esso ne serve una quantità tale da sfamarlo. Se poi, alla fine, questo prodotto è anche qualitativamente valido è un secondo aspetto, ma mai un problema. Sul mercato delle merci il prezzo è espresso in moneta per unità di peso. Una variabile come la qualità incide su questo prezzo in maniera molto relativa, per frazioni percentuali centesimali. La qualità ha quasi sempre influenze sui prezzi inferiore alla provenienza. Un sovrapprezzo di provenienza che spesso si vuol coprire da meriti la qualità, le famose denominazioni d'origine, ma rappresentano quasi esclusivamente il frutto di posizioni di forza di natura economico-politica.
In questo settimo frammento, che costituisce il superamento di un terzo del cammino di indagine su questo fine millennio, matura e mostra a pieno i motivi di fondo che giustificano e caratterizzano questa collana. Qui ben si evidenzia la complementarietà che esiste tra l'uomo e la natura, dove quest'ultima ciba attraverso il grano e gli altri prodotti della terra, l'uomo. Ma, a causa di motivi strettamente economici, egli non sopporta la presenza di erbe di natura infestante nei terreni coltivati, mostrando quindi al tempo stesso la sua contrapposizione alla natura, che combatte con sistemi capaci di annientarla o modificarla in direzioni imprevedibili e sconosciute. La produzione e la distribuzione delle risorse agricole sul nostro pianeta di questo fine millennio è quanto di meno solidale può realizzare una società. Impressionati, impauriti e travolti dalla piena degli uomini affamati che stanno percorrendo il mondo da un capo all'altro dei suoi mari, alla ricerca di una sussistenza fisica che prevarica e sopprime ogni altro suo bisogno, per adesso siamo capaci solamente di tenere gli occhi chiusi, in attesa del gran tonfo. Alla stessa conferenza mondiale sull'alimentazione, tenutasi a Roma nei giorni scorsi, è stata capace di accorgersi che la stragrande maggioranza degli uomini ha fame e che una piccola minoranza oltre a sprecare distrugge.

pensieri in foto
Ho già parlato delle diversità che esistono tra parola e fotografia nel campo della divulgazione del pensiero in un precedente frammento. Ma adesso torno volentieri a parlarne. Ho già affermato che questo, "PAPAVERI", è un frammento particolare, nel quale sto cercando di racchiudere tutti quanti i significati e le prospettive di questa collana, della sua volontà di completezza e valore artistico. L'idea del cofanetto nasceva da un'esigenza, completare con le parole ciò che mancava alle immagini, e viceversa. Tutto questo perché alle immagini fotografiche si collega il limite dell'incompletezza a causa della mancanza di vere e proprie convenzioni semantiche, capaci di dare ad una collezione un'unica, inequivocabile interpretazione di valore e pensiero.
Frammenti è nato anche sotto il presupposto di uno sviluppo da costruire con le influenze dei giorni che seguono. Mi trovo così volentieri a continuare in queste righe dialoghi che ho intrapreso e tessuto con i frequentatori di una mia mostra fotografica, con i quali abbiamo argomentato della fotografia, in merito alla sua realizzazione per la costruzione di un percorso di significati e messaggi. Abiurando per principio le cose fini a se stesse, la fotografia che non riesce ad andare oltre la sua perfezione estetica, fatta di tecnica e rigore, è da me considerata anonima ed insignificante nella creazione di una coscienza, e nello stimolo al moto di pensiero.
Considero chi si identifica ed apprezza quel tipo di immagini dei bravissimi artigiani, immensamente padroni della tecnica delle immagini, capaci di dare valore estetico a particolari soggetti, mestieranti di qualità. E queste parole devono essere lette per quello che vogliono significare, ciò un chiaro riconoscimento ad un lavoro importante svolto da molte persone. Ma per me la fotografia è anche altro. E' strumento del pensiero, capace di andare oltre la tecnica ed il mestiere, importantissimi, ma da superare per cercare di realizzare quello che le nostre emozioni imprimono sui nostri sensi. Certa scuola tecnica, fossilizzata su di un uso quasi standardizzato di elementi esterni come la luce e i colori, o pratici come fuoco e profondità di campo, purtroppo limitano la vera espressione. Espressione che non vuol assolutamente dire trasgressione, capovolgimento dei dettami tecnici, ma ricerca di un'immagine sempre equilibrata, che letta dall'osservatore riesce ad esprime il pensiero che l'ha motivata

Otto fotoFrammenti di papaveri cresciuti spontaneamente.
I foto-frammenti che propongo con "PAPAVERI" sono immagini raccolte in un giorno della primavera dello scorso anno, passeggiando per campi incolti vicino a casa mia, osservando questi magnifici fiori.





Come un mazzo, i papaveri del campo si offrono ai miei occhi. I petali aperti al sole, empi di colore e armonia.





I papaveri sono degli incolti fiori, dei luoghi marginali, dove l'azione distruttrice dell'uomo è più lieve e trascurata. Così essi sono liberi di crescere lungo i fossi, che ne rimarca la delimitazione.




Il papavero è fiore che annuncia l'estate. Tenero e delicato ha vita breve. Ma la sua pianta è capaci di creare un gran numero di fiori, che cresce in bocci chiusi, che lentamente schiude quando i petali sono del loro purpureo colore.





Il papavero è fiore leggero che il vento scuote ed agita con facilità. Basta una piccola brezza a far muovere questi esili steli, e scompigliare i vellutati petali.





Il campo incolto è un giardino fiorito, qui nascono spontanei un'infinità di fiori ed erbe. Dal livello del terreno fino alla sommità dei papaveri è una festa di colori e forme, tutte diverse tra loro, e tutte magnifiche.





E' un mare di natura, dove i colori si fondono tra loro, acquistando la consistenza di un unico, liquido strato. L'occhio ad un certo punto, nel gran caos delle forme perde il senso della realtà e riesce ad entrare nel magma dei colori.





I papaveri sono tantissimi, dal numero indecifrabile ed indeterminabile. Come una distesa carminia copre il campo intero, fino ai sui confini, la fila di alberi che chiude quel piccolo orizzonte da microcosmo.





Il papavero è vivo e splendido, se, sdraiati in terra, lo si guarda stagliarsi al cielo. Leggero e soave si gongola delle impercettibile brezze che il gran caldo del sole di tarda primavera richiama su quel campo fiorito.

lunedì 18 ottobre 2010

macchine, di quando si parlava della fine del millennio (6)

Il 5 maggio scorso avevo iniziato a riproporre "Frammenti", una collana di foto-pensieri in cui raccoglievo/raccontavo dei segni che fossero capaci di rappresentare il varco della data del cambio del millennio.
Il primo numero aveva per titolo "MATTONI".
http://aurelio-vivereapierino.blogspot.com/2010/05/di-quando-si-parlava-della-fine-del.html
Il secondo numero, "NUVOLE".
http://aurelio-vivereapierino.blogspot.com/2010/05/di-quando-si-parlava-della-fine-del.html
Il terzo numero, "STRADE".
http://aurelio-vivereapierino.blogspot.com/2010/07/strade-di-quando-si-parlava-della-fine.html
Il quarto numero, "ORIZZONTI".
http://aurelio-vivereapierino.blogspot.com/2010/07/orizzonti-di-quando-si-parlava-della.html
Il quinto numero, "ACQUE".
http://aurelio-vivereapierino.blogspot.com/2010/09/acque-di-quando-si-parlava-della-fine.html
Continuando a seguire il filo conduttore fondato sul confronto rappresentato dalla contrapposizione-complementarietà tra l'uomo e la natura, questo sesto numero, intitolato "MACCHINE", secondo elemento della seconda tetralogia, e voleva rappresentare la capacità di rinnovare ed innovare la propria tecnica e tecnologica, allo scopo di migliorare le proprie possibilità produttive.






Il quinto numero di "FRAMMENTI", realizzato nel mese di novembre del 1996, lo presentai nei locali dell'Ex Farmacia Cheli, in Piazza del Popolo, in occasione dell'annuale Mostra Mercato del Tartufo Bianco di San Miniato.




primi pensieri
L'uomo e la sua capacità tecnica e tecnologica.

Se con "ACQUE" ho voluto mostrare la capacità della natura di modificare se stessa, rinnovandone i contorni, orizzonti, con questo nuovo frammento di fine millennio cercherò di tracciare un segno che racchiuda in se molteplici motivi di interesse. L'uomo riesce ad esprimere la sua capacità di modificare la natura delle cose che lo accompagnano nell'addivenire del tempo che segna la sua presenza su questo pianeta, attraverso i frutti del proprio ingegno unito alla creatività manuale che lo contraddistingue dagli altri esseri viventi che popolano il nostro pianeta.
"MACCHINE" è nato partendo da un particolare presupposto, che è quello che l'uomo riesce a contrapporre alla natura la sua continua ricerca tecnologica, che lo rende capace di costruire meccanismi sempre più evoluti e sofisticati, al contrario di una natura, pur sempre sovrana, ma ripetitiva, imbrigliata dalle proprie leggi fisiche che ne regolano cause ed effetti. L'uomo, riesce ad andare oltre. E partendo da questo presupposto, ecco che fermare un istante con delle immagini fotografiche o un pensiero trascritto, si compie un opera spesso meramente ducumentaristica.
Fissare su pellicola uno strumento creato dall'uomo, anche l'ultimissimo e il più sofisticato, è come aver fotografato un individuo in piena corsa. Nell'immagine si vede un atleta ritratto nel compiere un gesto che appartiene ad un contesto di movimenti che gli consentono di correre nel modo più veloce a lui possibile. Quindi egli, immediatamente dopo il gesto fermato dell'immagine ha compiuto un altro gesto atletico che lo ha portato una porzione di spazio più avanti, e così via, fino a farlo giungere alla meta in quel momento prefissata, raggiungimento che, tanto più, sarà una tappa verso un'ulteriore meta.
Così, i fotoframmenti che propongo con questo nuovo numero, si caratterizzano come un fermo-immagine di una corsa verso una meta, o più mete concatenate tra loro, che non sono altro che passi attraverso i quali si muove l'evoluzione dell'uomo stesso. In questa situazione di continuo rinnovamento tecnologico, ci troviamo di fronte al nostro territorio di fine millennio, che racchiude dentro alle sue pieghe di abbandono e degrado ambientale, una vera e propria archeologia industriale. Con stabilimenti che sono sorti e si caratterizzati in produzioni attraverso l'uso di specifici macchinari, ma che sono stati attivi solo qualche decina di anni, fino a quando le macchine che permettevano la produzione non sono divenute obsolete.
E questo non per cattivo funzionamento o trascurata manutenzione, ma solamente perché sono state create nuove macchine che permettono lo stesso tipo di produzione, magari di beni di maggiore qualità, ma, soprattutto, che consentono una maggiore economicità di produzione. Di queste testimonianze della capacità umana di creare, il territorio di questo mondo che si appresta, tra fanfare e disinteresse al tempo stesso, a superare la soglia del terzo millennio, ne è particolarmente ricco. Anche nella zona dove io abito, ed alla quale appartengono la quasi totalità dei miei pochi lettori, si trovano dei veri e propri giacimenti di reperti di archeologia industriale, che si sono andati a confondere tra quelli rurali.
In un periodo di superamento della fase di industrializzazione, che, attraverso un convulso percorso di frizioni economiche, sta portando mutazioni sociologiche le cui ripercussioni si vanno sommando a mai rimarginate ferite dell'alienazione socio-culturale subita dalla popolazione rurale delle nostre campagne, l'abbandono di queste strutture industriali segnano un vero e proprio confine generazionale tra gli individui. La crescente svalutazione della capacità strettamente manuale dell'uomo, dovuto ad un sempre minore carattere artigianale del lavoro industriale su larga scala, per un passaggio che porta alla creazione di nuove figure di lavoratori, impostate su di un'uso delle capacità intuitive ed intellettive, richiesto da un lavoro che da diretto e manuale si va facendo sempre più di puro controllo del lavoro svolto dalle macchine, crea dei profondi solchi che si vanno caratterizzando come elementi spesso discriminatori. Provocando una accentuata diversificazione tra generazioni, che attraverso le varie fasi di ingresso nel mondo del lavoro, pur molto vicine attraverso il tempo, ma avvenute in momenti tecnologici profondamente diversi, arrivano, a volte, a costituire delle vere e proprie barriere culturali.
Per giungere all'elemento su cui fa perno la presente monografia, ecco macchine vinte dalla ruggine, appartenenti oggi alla già citata archeologia industriale, ma che fino a pochi anni fa producevano cartone. Questi miei primi pensieri sull'uomo tecnologico, saranno sicuramente parsi superficiali all'amico lettore, soprattutto in considerazione della vastità della problematica che sta alla base della creazione di mezzi per la produzione di beni, dove la longevità dei sistemi di produzione non è legata al solo rinnovamento tecnologico, ma anche, e bisognerebbe dire soprattutto, al corso del mercato del bene prodotto. A questo punto si potrebbe cominciare a discutere del contesto mondiale della produzione di beni e di alimenti, dove si assistono a disuguaglianze enormi e vergognose dove da una parte si muore di fame, mentre dall'altra ci sono eccedenze che per esigenze di mercato, e quindi di profitto, si preferisce distruggere che distribuirle a che ne ha bisogno. Per il semplice motivo che distruggerle costa meno e non inflaziona il mercato.

pensieri in foto
La realizzazione di un'immagine passa sempre attraverso le condizioni esistenti al momento dello scatto fotografico. E' in base alla composizione e la loro concentrazione di queste condizioni, caratterizzate da elementi assai variabili, anche in stretta successione di tempo, che un'immagine fotografica riesce ad acquistare un senso sulla pellicola. Si tratta di elementi alla cui base stanno essenzialmente le tonalità e la frequenza della luce. Se banale e scontata può sembrare questa mia considerazione, tutto può però apparire inconsueto se semplicemente si osserva l'estrema flessibilità della sua presenza. Del fatto che la luce è capace di assumere infinite forme, perché infiniti sono i luoghi e le occasioni da essa interessate.
Ho voluto partire da queste minime considerazioni per giungere al foto-percorso che ho cercato di realizzare con le otto immagini che corredano questa pubblicazione-monografia sulle capacità tecniche e tecnologiche dell'uomo, con le quelli esplica la propria capacità di modificare l'ambiente in cui vive. L'opificio, l'ambiente ad uso industriale, che racchiude un sistema produttivo fatto di macchine ed utensili realizzate dall'uomo per quel dato lavoro. Dentro di esso solo le macchine hanno valore, la loro stessa collocazione ha una funzione ergonomica, capace cioè di favorirne il pieno sfruttamento. La luce, in quanto illuminazione, fonte di risalto dei contorni degli oggetti, è sussidiaria,se non secondaria. Essa ha direzioni che si sposano con le stesse linee disegnate dai flussi di produzione. Ecco allora che l'interno ha un verso di osservazione, con i locali collegati tra loro da porte che seguono anch'esse le linee dei flussi di produzione.

Otto fotoFrammenti di macchine abbandonate all'oblio del tempo.
I foto-frammenti che propongo con "MACCHINE" sono immagini raccolte in un pomeriggio del mese di maggio del corrente anno, osservando e ritraendo i macchinari e gli utensili abbandonate all'interno della Cartiera Fondelli di Isola


La ruggine è adesso il padrone di questi locali e di questi macchinari. Le pulegge motrici della linea del cartone sono inermi, vinte dal tempo, nonostante le cinghie sia ancora al loro posto, ben tese.

L'officina, sconvolta dal suo stesso abbandono, con vuoti lattoni di lubrificante, attrezzi per le piccole riparazioni. Tutto in un disordine testimone del tempo trascorso, attraversato da spicci visitatori alla ricerca di utili resti.


Su di un tavolo, tra polvere e cose inservibili, un oliatore per piccoli e frequenti interventi agli organi in funzione, sembrano lasciate lì a raccontare dell'uomo che da quel posto controllava l'intero ciclo.


L'abbandono è totale, come frutto di una fuga. Come aver chiuso una porta in tutta fretta, lasciandosi dietro delle cose proprie, da riordinare a tempo dovuto. Ma il tempo sembra non averlo permesso. E questi chiodi e numeri per marcare sembrano aspettare ancora che li ha sempre usati per essere riordinati.

La scena è emozionante, nel cuore dell'opificio, il locale caldaia, come in un antico sito archeologico, ecco un segno tangente della presenza dell'uomo. Indumenti che, abbandonati sul pavimento, semi coperti dal limo di una piena, colpiscono per la reale testimonianza che offrono.

Tubi e bulloni si trovano disseminati dappertutto, segno di qualche intervento dopo l'abbandono. Tentativi di riciclaggio per altri usi, per altri scopi.




La produzione di cartone attraverso la macerazione e la sfibratura della paglia di frumento aveva nelle sue prime fasi di lavorazione l'importante passaggio dalle macine.




Un volano, che durante la lavorazione era mosso da un motore elettrico del quale adeguava la velocità a quella che la macchina da azionare abbisognava.

giovedì 23 settembre 2010

acque, di quando si parlava della fine del millennio (5)

Il 5 maggio scorso avevo iniziato a riproporre "Frammenti", una collana di foto-pensieri in cui raccoglievo/raccontavo dei segni che fossero capaci di rappresentare il varco della data del cambio del millennio.
Il primo numero aveva per titolo "MATTONI".
http://aurelio-vivereapierino.blogspot.com/2010/05/di-quando-si-parlava-della-fine-del.html
Il secondo numero, "NUVOLE".
http://aurelio-vivereapierino.blogspot.com/2010/05/di-quando-si-parlava-della-fine-del.html
Il terzo numero, "STRADE".
http://aurelio-vivereapierino.blogspot.com/2010/07/strade-di-quando-si-parlava-della-fine.html
Il quarto numero, "ORIZZONTI".
http://aurelio-vivereapierino.blogspot.com/2010/07/orizzonti-di-quando-si-parlava-della.html
Continuando a seguire il filo conduttore fondato sul confronto rappresentato dalla contrapposizione-complementarietà tra l'uomo e la natura, questo quinto numero, intitolato "ACQUE", apriva la seconda tetralogia, e voleva rappresentare uno dei principali mezzi "meccanici" con il quale la natura interveniva nel modellare il paesaggio.






Il quinto numero di "FRAMMENTI", realizzato nel mese di febbraio del 1996, lo presentai nella libreria "il Barbagianni" di San Miniato, nel seguente mese di aprile, insieme al precedente numero "ORIZZONTI".






primi pensieri.
L'acqua quale mezzo meccanico della natura.

Nel voler stabile un ponte che permetta di continuare il percorso che "orizzonti", nel concludere la prima tetralogia, impostata sui segni di contrapposizione e complementarietà uomo natura, che stiamo portando al terzo millennio, sta la giusitificazione di questo nuovo frammento. "Acque" è intrinsicamente legato ad "orizzonti", in quanto riallacciandosi ad esso, si qualifica come primo campione, nella costruzione di una nuova tetralogia, dell'elemento natura, nel nuovo percorso che si va aprendo. Le capacità che si confrontano, della natura e dell'uomo, di modificare e costruire l'aspetto del territorio per i tempi a seguire.
L'apertura di questo nuovo percorso si presenta così molto interessante. Senza voler in questa sede stendere un programma organico delle prossime uscite, annunciando i vari frammenti che andrò a fotografare e raccontare in pensieri, mi soffermo nell'indicare un piano globale, che correrà su un mero confronto di attività naturali ed umane, che si esplicitano in modi e con mezzi diversi, ma che hanno uguale capacità modificativa. Questa manifestazione, nell'esprimersi nei vari strati del vivere quotidiano, incontra motivi di intreccio. Questo a voler dire che la natura, manifestandosi, incide profondamente sull'attività umana. Ed al tempo stesso, l'uomo, esprimendo la propria capacità di costruire e modificare ciò che lo circonda, incide nello svolgersi delle manifestazioni naturali.
Ho pensato ad "acque", proprio per poter meglio chiarire questo concetto di correlazione tra le due attività. Esso prende spunto dalla mobilità dell'elemento naturale più importante per la vita sul nostro pianeta. "Acque" racchiude l'idea di una materia mossa da una forte energia, che è capace di modificare la materia con la quale entra in contatto. Ed è un'idea che ho sviluppato inseguendo quegli aspetti che vedono l'acqua elemento superficialmente marginale al nostro vivere, a causa della normale quotidianità nel presentarsi, alla quale siamo abituati ad assistere.
La pioggia è senza dubbio l'aspetto principale di quest'azione meccanica di modificazione del territorio. Essa si manifesta nelle più svariate sembianze, per intensità e modalità. Ma la pioggia è solo l'inizio. Al momento che l'acqua è sul terreno inizia la sua vera e propria attività modellatrice. Inzuppa la zolla rendendola molle, sfaldandola. Realizzando in questo modo un'azione livellatrice sul terreno. Ne smussa i contorni verticali, mozzando le asperità e riempiendo le depressioni. E' un'azione spesso muta, silenziosa e inesorabile. E quest'azione avviene in scala proprorzionale alla quantità di acqua che si muove. Dalla piccola zolla si può in breve tempo passare ad interi pezzi di collina o di montagna, che le infiltrazioni e la forza di gravità, portano a colmare le valli.
Lo scorrimento superficiale, spesso invisibile, è il mezzo, lento ma continuo ed inesorabile, per una modificazione del territorio, massiccia e fondamentale. Esso si manifesta quasi in maniera subdola, nascosta. I fossati stessi, costruiti per il normale smaltimento delle acque, sono soggetti a quest'azione livellatrice. L'acqua stessa è capace di modellare questi percorsi per lei obbligati, a sua necessità. Dove essa scorre lentamente, deposita i materiali che trasporta, ostruendo col tempo il suo stesso percorso. Dove l'acqua ha maggiore velocità e forza, ha la capacità di amplare lo spazio percorribile, erodendo gli argini ad essa costruiti. Così da richiedere una continua manutenzione del sistema idrico. E questo fino ad osservare la capcità dei fiumi stessi si modificare il territorio fino a cambiarne i contorni.
E' quindi sul confronto con l'acqua che si gioca la possibilità di costruire per il terzo millennio un territorio di un aspetto tale che consenta di sostenere al tempo stesso lo sfruttamento agricolo e la residenza urbana ed industriale. Il grave dissesto idrogeologico a cui oggi assistiamo, e ne subiamo le conseguenze, con le cicliche micro alluvioni che hanno caratterizzato questi ultimi anni, è senza dubbio frutto dell'abbandono di un sistema idrico, costituito da un reticolato di scoline e fossi, che col tempo si era sommato e sviluppato per favorire il miglior sfruttamento delle risorse agricole del territorio.
Una struttura sociale, naturalmente senza dimenticare le profonde e rigide disuguaglianze che la regolavano, come quella che costituiva la civiltà contadina, era impiantata proprio su di uno schema che traeva il suo principio guida, nella conduzione dei terreni con stretta osservanza delle esigenze della natura. Questo però, può essere opinato se si fa una piccolissima indagine sul comportamento delle manifestazioni atmosferiche, nei decenni trascorsi. E' facile vedere come anche quando la cura del territorio era capillare ed efficiente, avvenivano dei disastri alluvionali e franosi. Naturalmente non voglio, con quanto appena detto, saltare l'ostacolo. Nascondere o evitare un problema che richiederà senza dubbio la massima attenzione.

pensieri in foto
La creazione e la realizzazione di immagini, capaci di costituire i frammenti di un foto-percorso, in modo coerentemente collegabili tra loro da racchiudere il senso della monografia su cui è impostato ogni singola collezione, porta a confrontarsi con molteplici aspetti. Partendo dal presupposto che ogni singola immagine è collegata, in modo intrinseco con l'altra. Non solo nella ricerca del senso, ma anche e soprattutto di in una uniformità fotografica. Di una impostazione omogenea di colori, segni e soggetti che in armonia si giustificano a vicenda.
In oltre, nell'affrontare ciascun tema, il confronto finale avviene sulla capacità dell'immagine realizzata di riuscire ad esprimere il proprio senso anche attraverso il particolare formato in cui viene presentata. L'originalità, e la suggestione di questo particolare formato di stampa fotografica, del quale mi sento scopritore, anche si tratta di una stampa meccanica industriale, non professionale, eseguita da un carissimo amico, comporta un particolare approccio nella realizzazione dell'immagine.
Si tratta di dover considerare, tra le già molteplici condizioni che influenzano nel momento dello scatto fotografico, anche il confronto tra l'immagine che si sta realizzando e il suo piccolo formato, inserito poi nel supporto in cornice bianca. Accade così, che delle immagini significative, nel contesto della realizzazione dell'idea che ho del "frammento" che vado a costruire, non reggono tale confronto e non riescono a far parte della collezione che va a completare l'opera.

Otto fotoFrammenti di acque corse al fiume nei giorni passati.
I foto-frammenti che propongo con "ACQUE" sono immagini raccolte in più giorni del piovoso mese di febbraio del corrente anno, osservando e ritraendo le acque che correvano o stagnavano nei dintorni di casa mia.


La pioggia leggera o insistente che sia, lascia sempre un segnale del suo passaggio. E quel segnale è la Pozzanghera. Una piccola o grande depressione del terreno che l'acqua colma, e tarda nell'asciugare.


Nei campi arati, liberi di vegetazione, la terra nuda mostra in maniera evidente la presenza dell'acqua. Sono Ristagni che provocano al terreno dei mutamenti importanti. L'acqua, fermandosi in superficie sgretola le piccole zolle e finissimo limo, che copre così, come una patina, il terreno.



L'acqua percola dal campo nella Fossa. Qui essa si riposa, si libera del peso degli elementi che trasporta e si rende limpida. In attesa che il sole la faccia di nuovo evaporare.



Ma spesso l'acqua giunge alla fossa con forza e velocità. Provocando in essa nelle Piccole Frane, ostruendola pian piano. E in più ancora, trasportando in essa del terreno che porta via al campo, nella sua dirompente corsa verso il basso.


E' uno scorrere continuo quello dell'acqua. Un'incessante ricerca del sito più basso. Una corsa alla fuga verso luoghi alla quale è indirizzata. Fossati che si intersecano tra loro, sempre più grandi. Dove l'acqua Scorre Placida, sempre di più, ad ogni fossato più grande.


Più il fosso è declive, più l'acqua corre, come un Ruscello. Piccole cascate che si susseguono una all'altra, ad aumentare quella già frenetica corsa verso il fondo valle.


Nei punti meno declivi, al contrario, l'acqua fa una gran fatica a muoversi. Si ferma, aumenta col sopraggiungere di altra acqua. Si forma uno Stagno ricco di quei tanti oggetti che essa porta con se.


E quando l'acqua è tutta passata, se ne è andata altrove, a cercare punti sempre più bassi, sul terreno resta il segno del suo Passaggio. Interessanti striature del terreno, segnale di un passaggio spesso violento, profondo. Portatore di novità al luogo attraversato, manifestando tutta la sua capacità meccanica.

martedì 27 luglio 2010

orizzonti, di quando si parlava della fine del millennio (4)

Il 5 maggio scorso avevo iniziato a riproporre "Frammenti", una collana di foto-pensieri in cui raccoglievo/raccontavo dei segni che fossero capaci di rappresentare il varco della data del cambio del millennio.
Il primo numero aveva per titolo "MATTONI".
http://aurelio-vivereapierino.blogspot.com/2010/05/di-quando-si-parlava-della-fine-del.html
Il secondo numero, "NUVOLE".
http://aurelio-vivereapierino.blogspot.com/2010/05/di-quando-si-parlava-della-fine-del.html
Il terzo numero, "STRADE".
http://aurelio-vivereapierino.blogspot.com/2010/07/strade-di-quando-si-parlava-della-fine.html
Continuando a seguire il filo conduttore fondato sul confronto rappresentato dalla contrapposizione-complementarietà tra l'uomo e la natura, questo quarto numero, intitolato "ORIZZONTI", concludeva la prima tetralogia, e voleva rappresentare come la natura modellava sia il paesaggio, che l'azione dell'uomo.







Il quarto numero di "FRAMMENTI", realizzato nel mese di febbraio del 2006, lo presentai nella libreria "il Barbagianni" di San Miniato, nel seguente mese di aprile.








primi pensieri
Uno scenario che misura il trascorrere del tempo.

La conclusione di questa prima tetralogia, indagine, raccolta di immagini e pensieri, costituita da un doppio confronto tra gli elementi di contrapposizione e di complementarietà tra l'uomo e la natura, che racchiudesse una prima tappa nell'avvicinamento al terzo millennio, giustifica questo tema ampio che vado ad affrontare. Gli "orizzonti" che ci circondano, quelle linee che pongono un limite alla nostra capacità di vedere, possono rappresentare la fissazione di un termine di paragone con il passato ed il futuro. Se si presta attenzione al segno di questa linea che scrutiamo in lontananza scopriamo che è caratterizzato dalla sagomatura di un insieme di oggetti e soggetti in mutamento.
Sempre seguendo la concezione guida di "frammenti", di una raccolta di segni del nostro tempo da consegnare al futuro, ed indagando attraverso quel sottile filo che divide e lega l'uomo alla natura, "orizzonti" può essere una prima somma. Il contorno del paesaggio che ci troviamo di fronte è il frutto di una doppia azione, umana e naturale, che costruisce con il movimento temporale una situazione ambientale che è tale istante per istante. Quindi in esso ritroviamo i "mattoni" e le "strade", quali segni dell'uomo, sotto ad un cielo di "nuvole", quale elemento della natura.
Matura così la consapevolezza di assistere al trascorrere del tempo attraverso la semplice visione dello scenario che ci circonda. La linea che contorna la sagoma dell'orizzonte che tutti i giorni ci troviamo ad osservare, muta. Spesso in particolari impercettibili, qualche volta con segni evidenti, mentre in alcune occasioni questa linea viene completamente travolta. Dove sta il meccaninismo che agisce su questa linea, che la rende flessibile e mutevole? Rispondere a questa domanda è semplice, se si riesce ad avvere un approccio nei confronti della complessità e molteplicità di agenti che partecipano alla continua trasformazione del nostro mondo.
Si potrebbe innanzi tutto partire dall'azione dell'uomo. Egli, collocato in questo tempo, nell'esercizio di una delle sue maggiori peculiarità, cioé la volonta di affermazione, di emancipazione e sviluppo della propria esistenza, attraverso il suo istintivo senso di proprietà, quasi una reminescenza animalesca, costruisce e crea segni della sua presenza. E nell'esplicazione di ciò faccio un solo, ma efficace esempio: costruisce edifici funzionali per se al loro interno, di un'estetica frutto di un gusto proprio, come fosse un segno di identificazione, al loro esterno. Di conseguenza si assiste al nascere, nei punti più disparati dell'orizzonte di segni di una presenza umana.
Al tempo stesso, continuando nella risposta alla domanda precedente, avviene un'azione messa in atto dalla natura. Quel segno che delimita il nostro vedere è soggetto alle azioni meccaniche che la natura stessa è capace di attuare. Quella linea viene quotidianamente modificata dall'azione degli agenti atmosferici. Acqua, gelo, vento e sole, con il fuoco direttamente correlato, tra loro combinati agiscono in maniera profonda sulla struttura del terreno, rendendolo plasmabile. Un'azione che però non si limita alla sola orografia, ma coinvolge tutto ciò che si trova lungo quella linea. Quindi le stesse manifestazioni della presenza umana sono soggiogate alla loro azione. La frana non porta via solo la terra, ma anche l'albero piantato dall'uomo per le sue esigenze, fino ai suoi edifici.
Questa modificazione si manifesta in maniera accresciuta e senza possibilità di efficace previsione, quando all'azione della natura si somma quella dell'uomo. Partendo dalla considerazione che la natura fa comunque il suo corso, tralasciando gli ipotetici ulteriori intrecci che potrebbero intercorrere sulle cause degli eventi atmosferici, diventa fondamentale l'azione di modifica che compie l'uomo. Se non si tiene in considerazione la possibilità che le due azioni, nello svolgersi, si contrappongano, si rischia di realizzare una cassa di deflagrazione dove l'azione più forte libera tutta la sua energia.
Un'orizzonte, dove netta spicca la modificazione eseguita dall'uomo, e che non rispetta quelle che sono le normali e naturali via di sfogo per le manifestazioni atmosferiche, rischia, a breve tempo, di venire stravolto da un'energia che ancora non sappiamo controllare, che cerca e trova comunque una sua strada dove scaricare la sua forza.

pensieri in foto
Per sviluppare questo particolare percorso di foto-frammenti che costituiscono questa collezione, ho pensato alla creazione di una serie di immagini che riescano a costruire l'idea di "orizzonti" che in maniera realistica possano esprimere la capacità di una linea di rappresentare un motivo di interesse. Di rappresentare un momento, una tappa, della continua metamorfosi del'assetto orografico del territorio. Dove anche la semplice conduzione di un terreno, attraverso le ruotazioni colturali, è mezzo di mutazione.
A questo modo ho incentrato il mio studio e la mia osservazione, cercando tra quei motivi paesaggistici legati alla presenza di soggetti creati dall'uomo ed inseriti in un contesto naturale rappresentato dalla terra e dal cielo. La conformazione stessa del terreno, cioè la propria figura, che va costituire il substrato su cui si appoggia l'attività dell'uomo, viene particolarmente evidenziata nel raffronto col il cielo, che è l'elemento che chiude e mostra l'orizzonte stesso.
Nel progettare questa serie di foto-frammenti, che fosse capace di fissare un punto fermo da portare al terzo millennio come elemento di paragone con le modificazioni a venire, avevo pensato a delle linee di orizzonte da confrontare con un cielo particolare. Avevo pensato ad un confronto con il cielo terso dalla tramontana, che al tramonto era capace di realizzare dei colori capaci di offrire motivi fotografici molto interessanti. Ma essendo "frammenti" un'opera nata e progettata in una serie di uscite a cadenza periodica, legate tra loro, ed in più costretta a subire le contaminazioni di un tempo che comunque corre per suo conto, mi sono trovato a ripensarne la creazione.

Otto fotoFrammenti di Orizzonti di questi giorni.
I foto-frammenti che propongo con "ORIZZONTI" sono immagini raccolte in due unici giorni di questo piovoso febbraio, osservando e ritraendo gli orizzonti disegnati dalle colline della Valdegola più delle viste della Valdarno realizzate da casa mia.




Le Montagne lontane sono l'orizzonte più classico, l'ultimo insormontabile baluardo al nostro sguardo. E' la linea più lenta nel mutare. Capace di resistere maggiormente per la sua natura. Ma anche perché più lontana, della quale pochissime volte la limpidezza della vista ci consente un'osservazione curata dei particolari, che quasi sempre ci sfuggono, impedendoci una reale percezione del mutamento.


Così è l'orizzonte più vicino, quello della Collina di fronte, la linea che meglio ci permette di rendersi conto del tempo che trascorre e dei cambiamento che esso porta con sé.


Sono colline dai molteplici motivi d'attenzioni, dalle molteplicità di forme. Forme arricchite dalla presenza di soggetti peculiari a questo territorio. Come la Fila di Olivi che ne corona la cresta, quasi a rappresentare la merlatura dei bastioni di un castello, costruiti per celare e proteggere ciò che avviene al suo interno.


Sono colline che l'uomo modifica per modellarle alle proprie esigenze. Le plasma per coltivarle. Ne spiana le asperità, ne addolcisce il declivo, per realizzare una Piaggia lavorabile, percorribile con le proprie macchine e i propri attrezzi.


Mettendo alla prova la nostra capacità di osservazione per soddisfare la naturale curiosità, incontriamo delle particolari situazioni che ci spingono a sviluppare la nostra attenzione. Delle Case sull'Orizzonte diventano un'ulteriore incentivo, uno stimolo aggiuntivo alla volontà del conoscere, una porta verso il nuovo.


Troppo spesso, però, il nostro orizzonte è così vicino da impedirci la vista di quei cambiamenti che altrove avvengono e segnano il mutamento dei tempi. E degli Alberi al tramonto, che si innalzano a pochi metri dalla notra vita quotidiana, rappresentano un vero muro che tiene fuori la vista della vita degli altri.


Le manifestazioni del clima non soltanto agiscono sui contorni fisici dei nostri orizzonti, ma agiscono ed influenzano la nostra possibilità di osservazione di ciò che ci circonda. Una Foschia è capace di nasconderci anche le cose a noi più conosciute e familiari, rendondo indefiniti i contorni e conosciamo.


Ma orizzonte è tutto quanto il Paesaggio. E' tutto quanto il nostro occhio vede. La casa del vicino, il paese che si vede dalle nostre finestre, fino alle sagome delle colline che, sormontandosi si innalzano fino alle montgne che chiudono la nostra vista.