giovedì 21 febbraio 2013

crescita, decrescita, ed altre storie



Non ho mai usato questa mia finestra sul mondo per parlare di politica, almeno in maniera esplicita e diretta. Non lo farò neppure questa volta, e ho idea di continuare a non farlo.
Anche se a me la politica è sempre piaciuta, quella politica che ho imparato dal mio babbo, dalla mia famiglia, di quella passione per l'impegno nella cosa pubblica come luogo e momento in cui è possibile costruire una visione del futuro.
Ho fatto e faccio politica. Mi sono impegnato e mi sto impegnando in associazioni e partiti politici.
Ho partecipato ed ho animato campagne elettorali.


Quando ci si impegna volontariamente in qualcosa di pubblico e condiviso da altri, si fa sempre politica. Si può essere apartitici ma non apolitici.


Tutto questo premesso per entrare nel merito del commento dell'amico lettore "il poeta sulle 23"postato sul mio pensiero su di un piano B.
Più che averlo letto, di Lester Brown conosco alcune sue proposte di "ricette" per dare al mondo un futuro diverso da quello che il modello economico che fino a qualche decennio fa caratterizzava il solo cosiddetto mondo occidentale, ma che adesso si è esteso a tutto il resto del nostro pianeta, sta generando.


Con lo stesso livello, più o meno, di approfondimento, conosco le idee di Serge Latouche.
Francamente teorizzare la decrescita come un modello economico capace di dare soluzione ai problemi ambientali e sociali non mi trova concorde.
Se dovessi cercare dei punti di contatto, mi viene più semplice trovarli in Lester Brown, in quanto egli contempla il concetto di "sviluppo sostenibile", senza magari poi condividere diverse delle sue indicazioni, che magari non sono radicali come quelle di Latouche, ma che favoleggiano un ruolo centrale e salvifico dell'agricoltura. Probabilmente molto cogenti rispetto alla sua realtà americana, caratterizzata da un'agricoltura profondamente diversa, e per molti versi molto più "sviluppata" di quella europea ed ancor di più rispetto alla nostra, ma molto meno rispetto a qui.
Dove esistono già, anche perché mai particolarmente modificate, realtà di economia rurale molto vicine a quelle da lui teorizzate, che di fatto non hanno certo portato quei risultati che lui auspica.


Io ho vissuto di agricoltura fino a neppure dieci anni fa.
E se si pensa che la soluzione dei mali economici e sociali del pianeta è l'agricoltura, e quindi l'economia di sussistenza, allora sento di dover dire la mia.
L'economia del nostro paese si è retta per secoli sull'economia di sussistenza che poggiava le sue basi sul settore primario, l'agricoltura svolta attraverso il sistema mezzadrile. Famiglie numerose che ricevevano in uso, dal proprietario-padrone, un appezzamento di terreno appena sufficiente, a volte neppure, per dare il minimo di cibo loro necessario per vivere. Metà del loro prodotto andava poi al padrone. Il colono si autoproduceva tutto ciò di cui aveva strettamente bisogno. Ciò che non poteva autoprodursi lo acquisiva attraverso il baratto in cambio di ciò, pochissima merce, che produceva in eccesso al fabbisogno. I consumi erano perlopiù indotti dalla società parassita attorno al settore primario.
Il primo sviluppo che si è avuto, è stata la possibilità, "grazie anche alla prima meccanizzazione", di acquisire la proprietà del terreno da parte del contadino e di aumentarne la produttività così da riceverne non solo da mangiare, ma anche la possibilità di pagarselo.


Nei secoli scorsi nulla o quasi impattava sull'ambiente, ma la situazione sociale era drammatica, con la stragrande maggioranza della popolazione che era schiava del pezzo di terra dal quale, con enormi fatiche, traeva il minimo che gli consentisse di vivere.
La situazione sanitaria era catastrofica, con una mortalità infantile impressionante, ed una vita molto breve, rispetto ad oggi.
Ieri mi è capitato di leggere la biografia di Cosimo I de' Medici. A lui, primo granduca di Toscana, su 13 figli nati dal suo matrimonio con Eleonora di Toledo, davanti al cui ritratto del Bronzino ogni volta vado in estasi, solo 6 raggiunsero la maggiore età. La stessa Eleonora morì poco più che quarantenne.
E lui era il granduca, ed il resto della popolazione?


Senza uno sviluppo, un miglioramento ed un ampliamento delle opportunità di crescita sociale e culturale, un individuo non vedo come possa affermare di avere un futuro. Al più si potrebbe parlare di speranza di vita.
Naturalmente occorrerà inseguire la ricerca della formula più sostenibile possibile, ma io sono un po' stufo del tipo che ha fatto i soldi con qualche lavoro creativo, si compra il campetto e poi vive di rendita con l'appartamento affittato a terzi in città, volendo far credere che lui ha capito tutto.
Tornare a lavorare la terra? Certo, potrei essere anche tra i primi, ne ho ancora un po'.
Ma tutti gli altri, quale terra? Quella di qualche padrone?


Corredano questo post un po' di fiori, foglie e muschi fotografati a Pierino lo scorso primo febbraio.
Anche quella con l'ape sulla margherita all'inizio del post.


1 commento:

  1. Grazie Aurelio, per il link al mio blog, non così ispirato al bello e cose elevate come il tuo. A dire il vero, non ho letto molto del pensiero di Latouche, ma solo l'idea che tutte le cose umane, non abbiano come riferimento il PIL, per misurare il benessere di uno Stato, mi attira molto. Certo, capisco che bisogna essere realisti e non s può pensare nell'immediato di governare le nostre società basate sul consumismo sfrenato con simili idee o teorie. Comunque, gettare dei semi, sollecitare governanti a ripensare nuovi modelli di sviluppo ecosostenibili e più giusti dal lato del reddito, lo trovo incoraggiante e pieno di speranza.
    Saluti e grazie per tutte le cose belle che porti avanti.

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