ci dice Amedeo, salutandoci con un sorriso.
E' il martedì dei nubifragi in terra di Toscana.
Scrosci di pioggia, e folate di vento, ci investono nella piccola piazza della fattoria di Anqua.
Uno spiazzo, inverdito dall'erba nata tra la ghiaia e i ciottoli, che si allarga tra la strada, la villa, le case dei mezzadri e gli annessi della vecchia fattoria rinascimentale.
Ci apre la porta, entriamo al piano terra della casa padronale. Ancor oggi di proprietà dei pronipoti di Nello di Inghiramo Pannocchieschi della Pietra, leggendario cavalier nobile della Siena medioevale, capitano di ventura, combattente in tutte le guerre di espansione dei fiorentini, da Campaldino a Monteaperti, che morirà ultrasettantenne, e che la storiografia vuole legato a Pia dei Tolomei e alle sue vicende.
Un lungo corridoio a volta, su cui affacciano le porte dei locali di servizio, attraversa tutto l'edificio.
Da una di queste porte arrivano il calore e gli odori di una cucina.
Dal fondo del corridoio arriva la luce di una grossa finestra, che illumina un salone al cui centro, occupandone un po' di spazio, un lungo tavolo stondato, e lungo le pareti, in attesa di essere usate alla bisogna attorno a quel tavolo, si contano, nella penombra, più di venti sedie.
Sulla destra, appena varcata la porta, noto subito il fuoco acceso, all'interno di un camino che non potrebbe esistere se in un luogo così.
Una nicchia quadrata, al centro esatto dell'edificio, di quattro metri di lato, con una mensola di legno lungo le tre pareti, su cui sedersi, e al centro un piano rialzato, di un paio di metri di lato, di pietra serena con una lastra di ghisa al centro, su cui stanno bruciando dei ceppi di profumatissimo cerro. Sembra proprio una situazione irreale.
Noi, umidi ed infreddoliti, accolti nel luogo ideale per poter godere del calore di un fuoco.
Ci mettiamo seduti tutt'attorno, e nell'attesa del pranzo, ci mettiamo a parlare di lavoro, e lo facciamo affrontando ogni tema attraverso le emozioni che quel luogo contiene. Si fa presto a trovarsi d'accordo, a valutare i problemi, a convenire sulle possibili soluzioni.
La tavola è pronta, ed anche il pranzo. Risotto ai funghi porcini e cinghiale con le rape.
Per chiudere il pranzo, fette di salame metà suino metà cinghiale.
Finito di mangiare, tutti a torno al fuoco, per digerire, finire i discorsi cominciati, ma soprattutto per ascoltare Amedeo, da sempre vissuto qui, custode di questo luogo, che riprende a raccontarci degli inverni "di prima".
—Prima, come arrivava l'inverno ci veniva una riga su quella collina là, la più alta - dice indicando oltre la finestra - Sopra metteva subito la neve, e ci restava fino a primavera. La neve cadeva anche nella valle, e anche qui, ma ci stava meno.
Era il '50, o giù di lì. Io avevo quindici anni. Era caduta tante neve, più di un metro.
Al podere di Bodiglioni, che sta dietro proprio a quel monte, era morto Modesto.
C'era da fare il funerale, ma con un metro di neve il morto non si poteva portare la cimitero, che sta qui. C'erano dieci chilometri da fare. Dopo qualche giorno che c'avevano il morto in casa, questo cominciava a puzzare. Il giorno lo tenevano dentro, in casa, ma di notte lo mettevano fuori. Sopra la stabbiolo del maiale, in alto, per non farlo arrivare dalla volpe.
La notte faceva anche meno dieci, e quando la mattina andavano a riprenderlo, lo trovavano ghiacciato.
Dopo una settimana riuscirono a far arrivare una bara da Radicondoli. Forse con un cavallo, o con un mulo, non mi ricordo.
Dopo quindici giorni la neve si era abbassata un po', ed era tutta gelata. Decisero di fare il trasporto, e anch'io fui mandato a dargli una mano.
Si partì da Budiglioni. La bara si portava in sei, e c'erano i cambi, ed anche frequenti.
Da qui a Budiglioni c'erano una dozzina di poderi, e prima si faceva presto ad avere una quindicina di persone per ogni casa. I maschi che si sposavano, portavano le mogli in casa, e poi i figli. Ogni famiglia dormiva in una stanza, e poi tutti a tavola insieme.
Insomma se ne trovò di gente lungo la strada, che poi si unì al trasporto. Ma poi era un'impresa.
La neve era ancora alta, e anche se era ghiacciata, succedeva che in un punto poteva essere più farinosa, e allora la gamba sprofondava giù, fino al ginocchio, e anche di più.
E allora cascavi, e la cassa ti veniva addosso. Così stavi affondato nella neve, e la cassa sopra.
Non me le ricordo neanche, in dieci chilometri, quante volte sono caduto, e quante volte sono caduti gli altri.
Ci vollero più di due ore, ma parecchio di più. Per mortare il morto da casa sua al Cimitero.
Ci sarà ancora, le iscrizioni di sicuro.
Modesto era signorino, non aveva moglie, insomma.
Ma donne ne aveva avute tante. Si diceva che era sterile, che non poteva avere figli. E questa era una cosa che alle donne, vedrai, doveva andare proprio bene. Gli piaceva, e non c'era la paura che potesse lasciare il segno.—.
Bellissimo!
RispondiEliminaElena