Il 5 maggio scorso avevo iniziato a riproporre "Frammenti", una collana di foto-pensieri in cui raccoglievo/raccontavo dei segni che fossero capaci di rappresentare il varco della data del cambio del millennio.
Il primo numero aveva per titolo "MATTONI".
http://aurelio-vivereapierino.blogspot.com/2010/05/di-quando-si-parlava-della-fine-del.html
Il secondo numero, "NUVOLE".
http://aurelio-vivereapierino.blogspot.com/2010/05/di-quando-si-parlava-della-fine-del.html
Il terzo numero, "STRADE".
http://aurelio-vivereapierino.blogspot.com/2010/07/strade-di-quando-si-parlava-della-fine.html
Il quarto numero, "ORIZZONTI".
http://aurelio-vivereapierino.blogspot.com/2010/07/orizzonti-di-quando-si-parlava-della.html
Il quinto numero, "ACQUE".
http://aurelio-vivereapierino.blogspot.com/2010/09/acque-di-quando-si-parlava-della-fine.html
Continuando a seguire il filo conduttore fondato sul confronto rappresentato dalla contrapposizione-complementarietà tra l'uomo e la natura, questo sesto numero, intitolato "MACCHINE", secondo elemento della seconda tetralogia, e voleva rappresentare la capacità di rinnovare ed innovare la propria tecnica e tecnologica, allo scopo di migliorare le proprie possibilità produttive.
Il quinto numero di "FRAMMENTI", realizzato nel mese di novembre del 1996, lo presentai nei locali dell'Ex Farmacia Cheli, in Piazza del Popolo, in occasione dell'annuale Mostra Mercato del Tartufo Bianco di San Miniato.
primi pensieri
L'uomo e la sua capacità tecnica e tecnologica.
Se con "ACQUE" ho voluto mostrare la capacità della natura di modificare se stessa, rinnovandone i contorni, orizzonti, con questo nuovo frammento di fine millennio cercherò di tracciare un segno che racchiuda in se molteplici motivi di interesse. L'uomo riesce ad esprimere la sua capacità di modificare la natura delle cose che lo accompagnano nell'addivenire del tempo che segna la sua presenza su questo pianeta, attraverso i frutti del proprio ingegno unito alla creatività manuale che lo contraddistingue dagli altri esseri viventi che popolano il nostro pianeta.
"MACCHINE" è nato partendo da un particolare presupposto, che è quello che l'uomo riesce a contrapporre alla natura la sua continua ricerca tecnologica, che lo rende capace di costruire meccanismi sempre più evoluti e sofisticati, al contrario di una natura, pur sempre sovrana, ma ripetitiva, imbrigliata dalle proprie leggi fisiche che ne regolano cause ed effetti. L'uomo, riesce ad andare oltre. E partendo da questo presupposto, ecco che fermare un istante con delle immagini fotografiche o un pensiero trascritto, si compie un opera spesso meramente ducumentaristica.
Fissare su pellicola uno strumento creato dall'uomo, anche l'ultimissimo e il più sofisticato, è come aver fotografato un individuo in piena corsa. Nell'immagine si vede un atleta ritratto nel compiere un gesto che appartiene ad un contesto di movimenti che gli consentono di correre nel modo più veloce a lui possibile. Quindi egli, immediatamente dopo il gesto fermato dell'immagine ha compiuto un altro gesto atletico che lo ha portato una porzione di spazio più avanti, e così via, fino a farlo giungere alla meta in quel momento prefissata, raggiungimento che, tanto più, sarà una tappa verso un'ulteriore meta.
Così, i fotoframmenti che propongo con questo nuovo numero, si caratterizzano come un fermo-immagine di una corsa verso una meta, o più mete concatenate tra loro, che non sono altro che passi attraverso i quali si muove l'evoluzione dell'uomo stesso. In questa situazione di continuo rinnovamento tecnologico, ci troviamo di fronte al nostro territorio di fine millennio, che racchiude dentro alle sue pieghe di abbandono e degrado ambientale, una vera e propria archeologia industriale. Con stabilimenti che sono sorti e si caratterizzati in produzioni attraverso l'uso di specifici macchinari, ma che sono stati attivi solo qualche decina di anni, fino a quando le macchine che permettevano la produzione non sono divenute obsolete.
E questo non per cattivo funzionamento o trascurata manutenzione, ma solamente perché sono state create nuove macchine che permettono lo stesso tipo di produzione, magari di beni di maggiore qualità, ma, soprattutto, che consentono una maggiore economicità di produzione. Di queste testimonianze della capacità umana di creare, il territorio di questo mondo che si appresta, tra fanfare e disinteresse al tempo stesso, a superare la soglia del terzo millennio, ne è particolarmente ricco. Anche nella zona dove io abito, ed alla quale appartengono la quasi totalità dei miei pochi lettori, si trovano dei veri e propri giacimenti di reperti di archeologia industriale, che si sono andati a confondere tra quelli rurali.
In un periodo di superamento della fase di industrializzazione, che, attraverso un convulso percorso di frizioni economiche, sta portando mutazioni sociologiche le cui ripercussioni si vanno sommando a mai rimarginate ferite dell'alienazione socio-culturale subita dalla popolazione rurale delle nostre campagne, l'abbandono di queste strutture industriali segnano un vero e proprio confine generazionale tra gli individui. La crescente svalutazione della capacità strettamente manuale dell'uomo, dovuto ad un sempre minore carattere artigianale del lavoro industriale su larga scala, per un passaggio che porta alla creazione di nuove figure di lavoratori, impostate su di un'uso delle capacità intuitive ed intellettive, richiesto da un lavoro che da diretto e manuale si va facendo sempre più di puro controllo del lavoro svolto dalle macchine, crea dei profondi solchi che si vanno caratterizzando come elementi spesso discriminatori. Provocando una accentuata diversificazione tra generazioni, che attraverso le varie fasi di ingresso nel mondo del lavoro, pur molto vicine attraverso il tempo, ma avvenute in momenti tecnologici profondamente diversi, arrivano, a volte, a costituire delle vere e proprie barriere culturali.
Per giungere all'elemento su cui fa perno la presente monografia, ecco macchine vinte dalla ruggine, appartenenti oggi alla già citata archeologia industriale, ma che fino a pochi anni fa producevano cartone. Questi miei primi pensieri sull'uomo tecnologico, saranno sicuramente parsi superficiali all'amico lettore, soprattutto in considerazione della vastità della problematica che sta alla base della creazione di mezzi per la produzione di beni, dove la longevità dei sistemi di produzione non è legata al solo rinnovamento tecnologico, ma anche, e bisognerebbe dire soprattutto, al corso del mercato del bene prodotto. A questo punto si potrebbe cominciare a discutere del contesto mondiale della produzione di beni e di alimenti, dove si assistono a disuguaglianze enormi e vergognose dove da una parte si muore di fame, mentre dall'altra ci sono eccedenze che per esigenze di mercato, e quindi di profitto, si preferisce distruggere che distribuirle a che ne ha bisogno. Per il semplice motivo che distruggerle costa meno e non inflaziona il mercato.
pensieri in foto
La realizzazione di un'immagine passa sempre attraverso le condizioni esistenti al momento dello scatto fotografico. E' in base alla composizione e la loro concentrazione di queste condizioni, caratterizzate da elementi assai variabili, anche in stretta successione di tempo, che un'immagine fotografica riesce ad acquistare un senso sulla pellicola. Si tratta di elementi alla cui base stanno essenzialmente le tonalità e la frequenza della luce. Se banale e scontata può sembrare questa mia considerazione, tutto può però apparire inconsueto se semplicemente si osserva l'estrema flessibilità della sua presenza. Del fatto che la luce è capace di assumere infinite forme, perché infiniti sono i luoghi e le occasioni da essa interessate.
Ho voluto partire da queste minime considerazioni per giungere al foto-percorso che ho cercato di realizzare con le otto immagini che corredano questa pubblicazione-monografia sulle capacità tecniche e tecnologiche dell'uomo, con le quelli esplica la propria capacità di modificare l'ambiente in cui vive. L'opificio, l'ambiente ad uso industriale, che racchiude un sistema produttivo fatto di macchine ed utensili realizzate dall'uomo per quel dato lavoro. Dentro di esso solo le macchine hanno valore, la loro stessa collocazione ha una funzione ergonomica, capace cioè di favorirne il pieno sfruttamento. La luce, in quanto illuminazione, fonte di risalto dei contorni degli oggetti, è sussidiaria,se non secondaria. Essa ha direzioni che si sposano con le stesse linee disegnate dai flussi di produzione. Ecco allora che l'interno ha un verso di osservazione, con i locali collegati tra loro da porte che seguono anch'esse le linee dei flussi di produzione.
Otto fotoFrammenti di macchine abbandonate all'oblio del tempo.
I foto-frammenti che propongo con "MACCHINE" sono immagini raccolte in un pomeriggio del mese di maggio del corrente anno, osservando e ritraendo i macchinari e gli utensili abbandonate all'interno della Cartiera Fondelli di Isola
La ruggine è adesso il padrone di questi locali e di questi macchinari. Le pulegge motrici della linea del cartone sono inermi, vinte dal tempo, nonostante le cinghie sia ancora al loro posto, ben tese.
L'officina, sconvolta dal suo stesso abbandono, con vuoti lattoni di lubrificante, attrezzi per le piccole riparazioni. Tutto in un disordine testimone del tempo trascorso, attraversato da spicci visitatori alla ricerca di utili resti.
Su di un tavolo, tra polvere e cose inservibili, un oliatore per piccoli e frequenti interventi agli organi in funzione, sembrano lasciate lì a raccontare dell'uomo che da quel posto controllava l'intero ciclo.
L'abbandono è totale, come frutto di una fuga. Come aver chiuso una porta in tutta fretta, lasciandosi dietro delle cose proprie, da riordinare a tempo dovuto. Ma il tempo sembra non averlo permesso. E questi chiodi e numeri per marcare sembrano aspettare ancora che li ha sempre usati per essere riordinati.
La scena è emozionante, nel cuore dell'opificio, il locale caldaia, come in un antico sito archeologico, ecco un segno tangente della presenza dell'uomo. Indumenti che, abbandonati sul pavimento, semi coperti dal limo di una piena, colpiscono per la reale testimonianza che offrono.
Tubi e bulloni si trovano disseminati dappertutto, segno di qualche intervento dopo l'abbandono. Tentativi di riciclaggio per altri usi, per altri scopi.
La produzione di cartone attraverso la macerazione e la sfibratura della paglia di frumento aveva nelle sue prime fasi di lavorazione l'importante passaggio dalle macine.
Un volano, che durante la lavorazione era mosso da un motore elettrico del quale adeguava la velocità a quella che la macchina da azionare abbisognava.
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